Roma - L’Udc sarà la scialuppa di salvataggio di Berlusconi ma senza imbarcarsi sul transatlantico governativo. Risultato: ad affondare sarà soltanto Fini. Un anonimo centrista ammette che «nonostante il pressing di molti pidiellini non entreremo a far parte dell’esecutivo. Non ci interessano le poltrone che da tempo vengono offerte ma...». E dopo quel «ma» arriva la descrizione della strategia di Casini, rivelata da un pezzo grosso dell’Udc: «Non saremo certo noi a far precipitare la situazione. Faremo un’opposizione responsabile e quando arriveranno provvedimenti che ci piacciono, li voteremo nell’interesse del Paese». Insomma, nei prossimi mesi sarà Casini la terza gamba della maggioranza sebbene il sostegno arriverà da fuori Palazzo Chigi. L’obiettivo dei centristi è quello di determinare il più possibile l’agenda politica dall’esterno, consapevoli che «in ogni caso con noi bisogna fare i conti».
Un altro indizio lo offre il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa: «Di fronte al grave disagio economico delle famiglie, il governo ha il dovere di mettere al centro dell’agenda politica la questione famiglia - dice - Se l’iniziativa del governo andrà concretamente in questa direzione, troverà un’Udc pronta al confronto costruttivo in Parlamento». E Buttiglione conferma: «Non faremo mancare l’ossigeno al governo nelle prossime settimane». È chiaro che sul tavolo arriveranno provvedimenti volti ad aiutare fiscalmente le famiglie, Tremonti permettendo. Già, perché sarà lui, in un prossimo colloquio con Berlusconi, a chiarire i margini di manovra visto che i conti pubblici vanno tenuti in ordine.
La mano tesa da parte di Casini, comunque, c’è eccome. A patto però che si fermino le moine a singoli suoi deputati per convincerli a passare nel gruppo di responsabilità. Non è un mistero, infatti, che qualche parlamentare centrista spinga per il riavvicinamento a Berlusconi, fino a prova contraria ancora leader della casa dei moderati. Casini in fondo non vuole le elezioni anticipate e temendo che la situazione possa precipitare da un momento all’altro, magari per mano della Lega, offre il suo appoggio al Cavaliere. La contropartita non sarà la possibilità di piazzare uomini in dicasteri seppur pesanti, quanto il poter dire la sua sulle prossime mosse dell’esecutivo.
L’incubo resta quello di dover affrontare le urne anche perché, confessa un anonimo udiccino, «non faremo un accordo elettorale con Fini, sebbene col presidente della Camera ci siano rapporti stretti e qualche punto di contatto». In pratica il terzo polo è morto e sepolto, se mai è venuto alla luce. D’altronde troppi elementi dividono Casini da Fini. In primis uno storico e reciproco deficit di fiducia reciproco che va dal momento in cui Fini rassicurò Pier Ferdinando che non sarebbe salito sul Predellino salvo poi montarci all’ultimo momento, alla recente mission di Bocchino inviato a trattare in gran segreto a Palazzo Chigi. In secundis le gerarchie vaticane che hanno fatto sapere in più occasioni di non aver alcuna intenzione di benedire il matrimonio con Fini, troppo spostato su posizione laiciste. «Abbiamo voluto farci carico delle preoccupazioni della Cei e dei suoi appelli in favore della stabilità», riconosce Buttiglione.
Proprio i temi etici sembrano essere l’estrema unzione all’alleanza tra Casini e Fini perché la recente lettera al Corriere della Sera firmata da alcuni finiani con cui si cercava di scrollarsi di dosso l’etichetta di «laicisti» non ha convinto nessuno. Così, quell’«è ora di mettere all’ordine del giorno alla Camera un testo sul fine vita» del ministro Sacconi rischia di essere la pietra tombale del terzo polo.
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