Leggere in piemontese per tradurre dal veneto, e i dialetti non centrano. Letta in piazza San Marco, lintervista di Pier Ferdinando Casini al Gazzettino sulle Regionali ha un che di grottesco. Perché il leader dellUdc dice che no, i centristi non sono disposti a ritirare il proprio candidato, Antonio De Poli, non fosse altro che ormai gli hanno chiesto lo sforzo di dire qualcosa di leghista, si sa che in Veneto questa è lunica via per vincere, e lui «si è assunto delle responsabilità onerose per dire che il Veneto deve andare ai veneti», appunto.
Allo stesso tempo però, il segretario centrista dice che lalleanza col Pd non è esclusa. Dipenderà dalle «convergenze» sul programma, ma non solo. «Non basta dire che si vuole una cosa - avverte -. Bisogna porre le condizioni perché sia fattibile. E le condizioni non sempre ci sono».
Ecco. Per capire quali siano, le «condizioni», bisogna rileggere il tutto da sotto la Mole Antonelliana. Perché lì, in Piemonte, Casini le «condizioni» le ha già poste. Mai con Mercedes Bresso, aveva detto poco prima di Natale, reduce da una violenta lite con la presidente uscente. A Capodanno ha cambiato idea. Forte dellappello del vicepresidente del Pd Enrico Letta («Alleanze in dieci regioni o perdiamo»), il 31 dicembre ha mandato i suoi a «trattare». Il vertice, del quale ha dato conto la Stampa di Torino, ha visto a confronto la Bresso, il segretario regionale del Pd Gianfranco Morgando e il collega centrista Alberto Goffi. LUdc ha parlato chiaro: sette poltrone non una di meno. E mica sette poltrone qualunque, qui servono incarichi di peso. Quali? LUdc non lascia spazio ai dubbi e tantomeno alla libera scelta di uneventuale nuova giunta di centrosinistra: tre assessorati, compresa la vicepresidenza. Più tre posti nel listino del presidente, cioè quello che consente laccesso allassemblea non per elezione, ma per nomina. Più una carica nellufficio di presidenza del Consiglio regionale.
Si capisce che ora è corpo a corpo: se già in condizioni normali i posti sono sempre insufficienti a soddisfare le richieste dei partiti, qui cè anche da dire che il Pd per battere il candidato di Pdl e Lega Roberto Cota non può perdere la sinistra radicale, ma Rifondazione e Comunisti italiani sono già sul piede di guerra contro «i veti anticomunisti dellUdc».
Così eccola, la strategia. Lo stesso Casini che in Veneto critica laccordo Pdl-Lega giudicando «un errore piegarsi, perché ora il Carroccio crescerà a dismisura a scapito degli alleati», in Piemonte detta la linea del «prendere o lasciare»: chi prende, metta a disposizione le poltrone. A chi lo accusa di trasformismo, Casini da mesi risponde indignato: «Se avessimo voluto fare una scelta di comodo avremmo accettato di stare col Pdl già alle Politiche, invece siamo allopposizione». Già. Il problema è che, lasciato un ministero («Berlusconi un bel ministero me lavrebbe dato» giura Casini), lUdc punta a guadagnare più posti possibile a livello locale. Tantè vero che corre in solitaria nelle regioni in cui non è determinante, mentre si schiera con il Pd o con il Pdl a seconda di dove può fare da ago della bilancia. «Non bisogna avere fretta, ma costruire ponti», dice. E i ponti si costruiscono meglio dai palazzi dei governi regionali.
Oltre alla beffa il danno, poi, quel Casini che altrove, per esempio in Campania, si allea col Pdl, in Liguria corteggia il Pd senza neppure porre un veto sullalleanza con Prc e Pdci, i quali dal canto loro non fiatano, potenza della paura di perdere. E in Puglia e in Lazio si presenta come il salvatore di democratici, segnalando che in quelle regioni «cè chi contesta fortemente la svolta di Bersani e sarebbe pronto a utilizzare una sconfitta alle Regionali per liquidare la sua segreteria».
Contro le alleanze a macchia di leopardo di Casini, da ieri è sceso in campo un ex amico di partito, il sottosegretario e leader dei Popolari e liberali Carlo Giovanardi, che ha organizzato addirittura un Giro dItalia anticentrista.
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