Laura bionica. Si definiva così, Laura Dubini, giornalista del Corriere della Sera, perché nella sua quasi ventennale battaglia contro il cancro - che ha perduto ieri mattina - aveva accettato di tutto, dalle protesi al braccio alle capsule inserite nel fegato. Tutto per continuare a vivere per se stessa e per gli altri, dal momento che aveva deciso di soffrire la sua malattia in pubblico, in modo da fornire non solo una testimonianza ma uninformazione continua. LIstituto europeo di oncologia di Umberto Veronesi e lAssociazione per la ricerca sul cancro piangono non solo una paziente ma una preziosa collaboratrice. Bella, bruna, elegante, Laura Dubini, che avrebbe compiuto 60 anni in aprile, rappresentava una forma non frequentissima di giornalismo nel quale la competenza e lansia della notizia non intaccavano la correttezza nei confronti dei colleghi e lurbanità dei modi. Dimostrando che è possibile essere eccellenti cronisti - e lei lo era nel campo della moda prima e della musica poi - senza aggressività né maleducazione. Colpita duramente dalla ricomparsa della malattia che pareva sconfitta la prima volta, aveva continuato a lavorare come sempre: servizi da inviata, aerei, nottate. «Quando torno, vado a farmi un tagliando», diceva alludendo allennesimo ricovero.
Ci dispiace che Laura si sia arresa perché insieme a lei ci viene a mancare lottimismo che lei, malata, sapeva infondere a noi (ancora) sani.
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