Politica

L’ultima del maestrino D’Alema: abolire il congiuntivo

Roma«Io ritengo che questa vicenda dimostra che lui è un prepotente ma che in questo Paese ci sono gli anticorpi e che le battaglie possono essere vinte». Lui è Berlusconi. Gli anticorpi la sinistra. Le battaglie, un nuovo futuro della sinistra. Tutto decifrato, facile. Ma c’è qualcosa che non torna in questa frase, che stride e riecheggia, una chiave di lettura criptica che misteriosamente si offre a chi ascolta: dove sono finiti i congiuntivi? D’Alema, dove li hai nascosti? Sì, perché il papà della rivoluzione silenziosa dell’italiano è nientemeno che la mente pensante della sinistra, cervello raffinato, l’ex presidente del consiglio e ora presidente del Copasir, il comitato di controllo sui servizi segreti. Insomma, il meglio della sinistra su piazza.
L’avesse fatto una volta questo scherzo, potrebbe essere un caso, piccolo errore veniale. Ma per ben trentaquattro volte Baffino ha abbattuto il congiuntivo durante l’ora e mezzo di dibattito alla festa dell’Unità di Roma dell’altra sera. L’insistenza è stata talmente sorprendente da imporre un riascolto dell’intervento. Nel calcolo non abbiamo contato le ripetizioni di concetti simili. Comunque una strage.
Almeno Di Pietro crea, si lancia intrepido negli spazi vuoti (per lui) della lingua italiana inventando nuove parole-paracadute che lo conducano lungo i più impervi pertugi lessicali. Ma qui, nel caso di Baffino, l’impressione è quella di una landa desolata, di un indicativo imperante e arido che sancisce certezze di pensiero, ma dà grande incertezza all’italiano: «Penso che quelli più bravi sono quelli di cui si parla di meno». «Penso che la forza della destra è nella potenza comunicatrice». Sia nella potenza, sia. Davanti al palco, l’altra sera, veniva voglia di gridargli non: «D’Alema di’ qualcosa di sinistra!», come lo avrebbe incitato Nanni Moretti, ma: «D’Alema di’ qualcosa col congiuntivo!».
Andiamo avanti: «Temo che pensare di giocare la partita sul piano letterario può essere un’ illusione». Possa, D’Alema, possa. «Continuo a pensare che ciò diciamo può equilibrare il confronto». «Credo che la sfida è questa». La sfida sia. Sarebbe così bello sentirglielo dire. E invece: «Penso che la sicurezza dei cittadini è un valore primario». «Penso che la politica un quoziente minimo d'intelligenza lo richiede». E anche un po’ di conoscenza dei tempi italiani, noi crediamo che la richieda, la politica. O non lo richiede?
Nessuna eventualità nell’eloquio del Leader Massimo, solo verbi di pensiero che non consentono rettifiche. Ora, viene da domandarsi, siccome dell’uomo si può dire tutto tranne che sia (o che è?) un ignorante, perché lo fa? Con una perseveranza, tra l’altro, che investe tutti: l’indicativo dalemiano travolge Berlusconi, Casini (e fin qui potrebbe essere una tattica). Ma addirittura si abbatte su Enrico Berlinguer. Pazzesco: «Penso che si tratta di una questione morale molto diversa da quella di cui parlava Berlinguer». Tratti! Su Casini: «Trovo che nella sua iniziativa c’è un eccesso di tatticismo». Berlusconi: «Non c’è dubbio che lui è un intollerante». Vendola (senza nominarlo): «Io credo che ci sono grandissimi poeti superiori a quelli che battono le piazze». Siano, forse? «Io sono portato a ritenere che è effettivamente così».

Ma potrebbe anche non esserlo, D’Alema, e sia quel che sia.

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