L’ultima speranza dei democratici è appesa all’Ulivo

RomaNiente più «vocazione maggioritaria»: la prima vittima ufficiale dello tsunami elettorale che ha colpito il Pd è il mito fondativo del partito veltroniano, quello dell’autosufficienza. La «sindrome dell’autosufficienza», la bolla Anna Finocchiaro, quasi fosse una grave malattia da cui guarire.
Col 26 per cento nazionale e la difficoltà sul territorio che insidia persino le regioni rosse, come testimonia l’emorragia di province e comuni, non si va da nessuna parte. E tra un anno ci sono le Regionali, con un nuovo rischio di bagni di sangue visto che il centrosinistra governa ovunque (salvo Veneto e Lombardia) e praticamente può solo perdere. Dunque, bisogna metter mano alle alleanze. «Recuperare l’Ulivo»; come dice Chiamparino; «riorganizzare il campo del centrosinistra», come afferma Bersani; ripensare all’Unione, come sostengono i prodiani. Anche se proprio il caso Bologna, con il candidato Flavio Delbono - esplicitamente appoggiato da Prodi al grido di «con l’Unione si vince» - finito al ballottaggio, non è di buon auspicio.
Il problema è che nessuno sa come rimettere insieme una potenziale coalizione di governo. È vero che sulla carta i voti delle opposizioni arrivano quasi al 50%, mettendo dentro tutto, da Ferrero a Casini. Ma come riuscire a tenerli insieme è un mistero insondabile, e nessuno ha ricette risolutive. «Nei numeri siamo quasi alla pari con la maggioranza, ma nel nostro campo non si intravede ancora una proposta credibile di governo», riconosce Massimo D’Alema.
«Il problema è che prima di capire con chi si va, bisognerebbe capire chi siamo e chi vogliamo rappresentare», osserva l’ex ministro rutelliano Linda Lanzillotta. Solo che tra due settimane ci sono i ballottaggi, ed è urgente stabilire qualche nuovo rapporto. L’Udc resta in cima alla lista dei desideri. «La mancata alleanza con loro è stato un errore politico», denuncia da Firenze Matteo Renzi. Ieri a Montecitorio c’è stato un lungo colloquio tra Casini e D’Alema, tabelle dei flussi elettorali alla mano. Risultati? I due chiuderanno insieme la campagna elettorale di Ferrarese, aspirante presidente della provincia di Brindisi. Unico esperimento esplicito di alleanza Pd-Udc a queste amministrative. Per il resto, ha spiegato Casini, «noi ci muoveremo a macchia di leopardo, senza rinunciare alla nostra autonomia. I nostri voti non possono restare sterili, dobbiamo farli contare». Ci saranno quindi possibili endorsement a sinistra (a Torino, Milano, Padova), ma anche a destra. Puntando sui «candidati più moderati» delle due sponde. «Per noi - spiegano nell’Udc - un pasticcio che va da Vendola a Di Pietro è impossibile da digerire. E questo finirà per agevolare la nostra confluenza sul centrodestra, se da lì verranno segnali chiari. Che per ora, per colpa della Lega, non ci sono».
Il tema alleanze diventa centrale anche per la partita congressuale, che potrebbe aprirsi di qui a poco. I sostenitori di Bersani si dicono pronti alla conta, e contrari ad ogni rinvio. E affermano che bisogna lavorare subito ad «allargare il Pd», chiamando a raccolta gli esclusi delle Europee, da Vendola alla Bonino. Ma anche nel campo di Franceschini c’è chi vuole accelerare: «Il dubbio - spiega un supporter del segretario - è che ci sia chi, da D’Alema a Marini, preferirebbe un rinvio a dopo le regionali. Per poi magari imputare a Franceschini di aver perso 10 regioni su 12. Allora meglio decidere subito e dare un’investitura piena al nuovo segretario».


L’analisi di Pierluigi Castagnetti è sconsolata: «Il problema è che il paese non ci fila, siamo completamente fuori dai giochi e non abbiamo una proposta forte da offrire. Siamo sopravvissuti, è vero, ma ormai ci vota solo un elettorato residuale delle vecchie forze che hanno dato vita al Pd: così non si può vincere».

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