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L’ultimo abbraccio delle «nonne»: «Maria ha già smesso di sorridere»

Alle due donne concessa una breve visita alla bimba: «Ripete che s’uccide se la riportano lì»

Monica Bottino

da Genova

«Adesso andate... andate a casa?». Maria gioca con il suo computer e guarda il video. Senza alzare gli occhi. Occhi che in una notte hanno perso il sorriso, mentre l’iperattività svela il dolore che sta straziando un piccolo cuore di dieci anni. Ci sono nonna Maria e nonna Foxi (come Maria chiama Elena Dagnino) sulla porta. Due maschere di cera. Per due ore hanno potuto incontrare le bimba nell’istituto di Quinto, con la suora e la psicologa a vigilare sulla visita. Forse l’ultimo abbraccio d’amore. «Ha chiesto dei genitori, ci ha ringraziato delle pantofole nuove che le abbiamo portato. Alla fine ci ha chiesto se andavamo a casa - spiega Maria Bordi, mamma di Alessandro Giusto, visibilmente scossa -, e noi le abbiamo spiegato che no, che non andavamo a casa. Che stavamo lì, ma su un altro piano perché non c’era posto anche per noi dove stava lei. Ma non ci ha creduto...». Maria è troppo intelligente per non capire che c’è qualcosa che non va. E le due donne ribadiscono la minaccia fatta più volte dalla bimba: «Se mi riportano in Bielorussia prendo un coltello e mi uccido».
Il ritorno
«L’aveva capito anche ieri sera, sa, quando siamo arrivati in autostrada e non abbiamo imboccato la strada per Cogoleto, ma per Genova - continua la nonna -. Abbiamo cercato di distrarla, ma senza successo». Maria non piange. «Ci ha detto che lei piange solo sotto le coperte, quando non la vede nessuno - dice straziata Maria Bordi -, come quando eravamo in Val d’Aosta e lei dormiva in camera con me. Ricordo che una notte ha avuto un incubo terribile. Si è svegliata sudata e piangeva: “non mandatemi via lassù... no... no... per piacere”. Io ho cercato di tranquillizzarla e l’ho stretta forte, accarezzandole la testa piano piano. E si è riaddormentata». Mercoledì pomeriggio, quando le nonne le hanno detto che erano arrivati i carabinieri per riaccompagnarle a casa, Maria ha capito. «Potevamo scappare, ma dove? - dice Maria Elena Dagnino -, al mattino la cuoca era venuta a dirci che girava voce che fosse arrivata ai carabinieri una telefonata da Como che eravamo lì. A quel punto anche le suore benedettine di clausura che erano nel palazzo di fronte ci hanno offerto di nasconderci loro, ma non potevamo più uscire, eravamo circondate».
Maria disegna il nascondiglio
È stato a quel punto che Maria ha detto «Sono perduta!». «Era una frase che diceva sempre mentre giocavamo a carte e stava per perdere, ma noi rispondevamo, no, non siamo ancora perduti. E così le abbiamo detto anche ieri», ricorda la signora Maria Elena. Ma la bimba ha preso un foglio e una matita e ha disegnato il convento «con nonna Foxi che prega in chiesa, nonna Maria che va in dispensa perché fa bene da mangiare e io nella stalla con le mucche che sto al caldo... io che sono piccina».
Fu subito amore
«La prima volta che la vedemmo era piccola e paffuta - dice Maria Elena Dagnino -, mi ricordava una contadinella russa come quelle dei film. L’avevano mandata giù solo con un paio di mutande. Corremmo a comprarle tutto. Ma la seconda volta che venne non aveva già più nulla, le avevano tolto tutto perché lassù nessuno ha nulla di suo. Ricordo la prima volta che vide aprire il frigorifero con le cose da mangiare: restò a bocca aperta. Era una bimba senza sorriso, ci avevano detto che per un anno, dopo l’arrivo nell’orfanotrofio, non aveva più parlato. Ma con noi cominciò ad aprirsi, a conoscere il linguaggio dell’amore».
Il fratello
Maria ha un fratello di 13 anni, affidato a una famiglia bielorussa, che ha rivisto proprio grazie ai Giusto. Loro l’hanno portata in Sardegna a conoscere il bambino, anche lui ospite in Italia. «È stato emozionantissimo - ricorda la nonna -, la bambina non se lo ricordava, lui sì e ha un atteggiamento molto protettivo verso la sorellina. Abbiamo contatti con quella famiglia bielorussa, sono brave persone. Almeno lui ha ritrovato il calore di una famiglia».
«Accetto la morte, non questo»
«Oggi 28 di settembre non è una bella giornata - racconta Maria Elena Dagnino -. Esattamente cinque anni fa ricevetti la diagnosi dell’ospedale che mi diceva che mio marito sarebbe morto di tumore. Piansi tutta la notte, poi non piansi più. Ho accettato con fatica un dolore insopportabile. Ma questo no, non posso accettare che non si possa fare nulla per tutelare una bambina che ha sofferto per tutta la vita.

Non posso accettare che l’Italia non la tuteli».

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