da Roma
E tre! Dopo la fuoriuscita per il cosiddetto editto bulgaro di qualche anno fa e dopo i 5 anni di stop subiti nei primi anni 90 per le solite irriverenti battutacce, Daniele Luttazzi finisce di nuovo allangolo. Oscurato dalle amate telecamere. Più che scontato che tornerà a lagnarsene, visto che era uno dei tormentoni con cui settimanalmente affliggeva i telespettatori nel Decameron con cui era ricomparso su La7. Ma potrà utilizzare il tempo libero per rimpinguare la voce che lo riguarda su Wikipedia, lenciclopedia internettiana dove cè un autentico diluvio di pensieri, parole ed opere che lo onora.
Gente di un certo peso ha sì e no 10 righe? Per Luttazzi ci sono pagine e pagine che solo lui o chi lo conosce bene può avere cesellato: studi scolastici, anni del liceo, il rifiuto di discutere la tesi, la revisione dei testi televisivi americani... abitudini, similitudini, attività varia a cominciare da un concorsino per comici dopo aver fatto il consigliere (dc di sinistra) nella sua Santarcangelo di Romagna. «Un po troppo apologetico», nota più duno nei commenti. Sarà un caso. Come quando si scopre che indossa quattro abiti diversi: «Attore, scrittore, drammaturgo e illustratore». Lui in realtà si considera un autore satirico. Lo scrive o lo fa scrivere in una innumerevole serie di siti web, tra cui uno che promette testuale: «Tutto su Daniele Luttazzi on-line a partire da gennaio 2008. Promesso». E visto che forse segue la regola del «meglio anomali che anonimi», spruzza veleno ad ogni pie sospinto, preferibilmente verso destra. Aumentandone le dosi, di giorno in giorno, per non correre il rischio di finire nel branco e contestando asprigno chi non lo capisce.
I critici televisivi non lamano? «Si meritano i reality e la tv spazzatura», replica secco. Dicono che è volgare? «Tutti i grandi satirici sono stati accusati dai tromboni di volgarità: Aristofane, Terenzio, Boccaccio, Ruzante, Sterne, Moliere...» ribatte facendo capire di sentirsi inserito nel giro. Lo fanno fuori? E lui: «Vogliono disinnescarmi». Dicono che la sua comicità non è poi così felice? «Sono come Boccaccio: contro la peste del pensiero unico». Spara centinaia di parole al minuto, peggio di Minoli col volto da perfetto afflitto. O forse da incompreso che trova il resto del mondo non esattamente alla sua altezza. Non era lui, del resto, che nei panni del giornalista Panfilo Maria Lippi, nel cult Mai dire gol, apriva il suo tg dichiarando: «Questa edizione del tg andrà in onda in forma ridotta per venire incontro alle vostre capacità mentali»?
Si spertica per far sapere che lui sì che fa ridere. Mica come gli altri, compreso Beppe Grillo, sul quale osserva laconico e gelido: «Ho tutta una serie di riserve che riguardano il cosa e il come», senza meglio specificare. «La mia satira ha anticipato South Park e Borat», giura. Macché. In tanti continuano a non capirlo, se è vero che lultima faticaccia su La7 vedeva un 30% di entusiasti, un 30% di schifati e un 30% di gente che lo riteneva «moscio». E se è vero che il suo programma non ha superato uno share medio del 5%. Magari si fa fatica a capirlo perché con quel faccino un po così e quella vocina un po così come quelli che son nati in Romagna, non sempre una battuta è riconosciuta come tale. Prendete la risposta che ha dato sullattuale esecutivo: «Prodi? È lento ma governa bene». Sarà il suo vero pensiero o autentica gemma della italica satira doggi? Ah, saperlo...
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