Politica

L’ultimo dramma di Mosley, l’uomo inseguito dai sospetti

Di solito i drammi della vita hanno il potere taumaturgico di guarire o nascondere i mali che inseguono un uomo. Nell’esistenza ostinatamente contraddittoria di Max Mosley, di questo ricco inglese fin da bambino braccato da voci e certezze malevole, neppure la tragedia familiare poteva avere e avrà questo potere. Perché suo figlio Alexander è morto, ma il tragico destino non l’ha preso con sé nel modo disperatamente silenzioso che accompagna chi viene tradito da una malattia, chi da un incrocio stradale, chi da un aereo, una caduta, un qualcosa che non t’aspetti. No. Il corpo di Alexander, 36 anni, giovane ristoratore con una laurea in economia, è stato trovato esanime da un parente martedì pomeriggio nel suo appartamento londinese di Notting Hill e poco dopo il rinvenimento, sui tabloid, era già un fiorire di voci - non confermate - che ad ucciderlo fosse stata un’overdose.
La tragedia di un figlio strappato a un padre dovrebbe bastare per spazzare via le scorie malevoli di una vita, ma questo a Max Mosley non è concesso. Sui suoi abiti eleganti si poseranno presto altre scorie, stavolta figlie della morbosa curiosità sulla morte del primogenito. Un abito impolverato dal destino, quello di questo distinto 69enne inglese, un destino che l’ha fatto nascere figlio del fondatore del partito fascista inglese, quel Sir Oswald Mosley amico personale del Fuehrer e del capo della propaganda nazista, Goebbels. Un abito impolverato dalla madre, la bellissima Diana, convolata a nozze con Sir Oswald a casa dello stesso Goebbels, a Berlino, nel 1936, con invitato speciale Adolph Hitler. Diana che un giorno, prima di morire novantatreenne, nel 2003, disse «verrò perseguitata fino a che non dirò che Hitler era orribile... avevo 24 anni e fu affascinante per me sedere e conversare con lui... anche sotto tortura non dirò mai nulla di diverso».
Una patina di scorie e polvere posata sull’abito di Max Mosley e resa ancora più spessa da sua zia da parte di madre, Unity, descritta dai servizi segreti inglesi come «più nazista dei nazisti» e che Hitler stesso definì un «perfetto esemplare di femminilità ariana». Leggenda vuole che la donna, morta trentenne anni dopo un tentativo di suicidio, avesse dato alla luce un figlio del Fuehrer.
Benché inseguito da tutto questo, il giovane Max Mosley è sempre riuscito a scrollarsi di dosso quella patina di malevole verità e arbitrarie invenzioni, ben sapendo che presto o tardi le scorie sarebbero tornate a posarsi. Nel frattempo ha seguito l’attività politica del padre - diventata in seguito più moderata - per poi dedicarsi alle corse fondando un team di F1 a inizio anni Settanta e quindi approdare alla politica dell’auto. In questo ruolo, come presidente della Federazione automobilistica, scorie o non scorie - e non ci stancheremo mai di ripeterlo - ha reso più sicuro il Circo a trecento all’ora e tanti sono i piloti che gli devono la vita.
Le scorie l’hanno raggiunto di nuovo giusto un anno fa, quando venne filmato durante un’orgia sadomaso con alcune prostitute. Capi di governo, Case automobilistiche e personaggi noti e meno noti ne chiesero le dimissioni e lui, invece, riuscì a restare in sella alla Fia e farsi dare ragione da un tribunale «perché è la mia privacy ad essere stata violata e perché nella propria camera ognuno può far quel che vuole... c’è gente a cui piace far l’amore in modo normale e chi come me in un altro...» fu il senso delle sue argomentazioni. Non solo. Ne uscì ancora più forte tanto da poter imporre alla F1 spendacciona - è storia recente - un giro di vite sui costi che ha scatenato una guerra politica tra le squadre, Ferrari in testa, e la Federazione.
Di solito i drammi della vita non scelgono luogo, ora e momento, ma con la vita di Max Mosley questa regola naturale sembra non valere. Prova ne sia che la notizia della morte di suo figlio è arrivata nel giorno in cui, proprio a Londra, le squadre di F1 si riunivano per dichiarare guerra a Max.

Un tragico e ostinato scherzo del destino.

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