Roma Quel che è venuto fuori, grazie al bel presepe nazional-civile messo in piedi dai suoi cattivi consiglieri Ruffini&Fazio&Mazzetti, è l’inesperienza del trentenne Saviano, preso in un ruolo - il «Pippo Baudo dell’animafia», secondo la fulminante sintesi di Mario Borghezio - cucitogli addosso dai maestri dell’audience simil-culturale, ma che gli si sta via via ritorcendo contro, facendolo scadere da scrittore celebrato a teatrante televisivo. Dopo l’infelice attacco alla Lega, lo scontro con Maroni (uno che peraltro polemizza raramente) e la polemica scatenata, Saviano è uscito con le osse rotte, come un ragazzo contro un peso massimo. Prima ha messo una pezza peggiore del buco, poi si è fatto superare in contropiede netto dal ministro che a Matrix ha offerto un’onorevole resa al contendente («Lo stimo, deponga le armi, chiudiamo una brutta pagina e uniamo le nostre forze contro la mafia»). Una disfatta mediatica, un k.o. al primo round, altro che nuove grammatiche televisive.
Era già cominciata maldestramente la giornata, con un’intervista di Saviano a Repubblica, suo referente cartaceo nella propaganda da resistenza al berluscon-leghismo, in cui associava - in modo ancora più goffo - Maroni a Sandokan, il boss della camorra. Una scivolata di cattivo gusto, un altro autogol per lo scrittore in evidente impaccio nei panni del telepredicatore, impreparato al fatto che le licenze letterarie, nello scontro politico in cui si è ficcato, diventano armi a doppio taglio. Maroni ha avuto gioco facile nel replicare esterrefatto al paragone di Saviano: «Mi ha lasciato allibito, ma non mi arrabbio, eventualmente ci penseranno i miei legali: non posso credere che certe cose lui le abbia dette davvero». Bossi in serata ha dato manforte al suo braccio destro, condividendo una eventuale querela a Saviano («È giusto») e rispondendo con una pernacchia ai cronisti che gli chiedono di Lega e ’ndrangheta: prrrrrrr!.
Poi, a metà giornata, altra tegola in testa a Saviano, con l’arresto del superlatitante Iovine. Se con Saviano siamo alla pace (salvo querele...), con il metodo Fazio-Ruffini il conto è ancora aperto, anche se Maroni ormai si ritiene vincitore. La richiesta di uno spazio nel programma per poter replicare davanti allo stesso pubblico (magari «vestito da Sandokan»...) è ancora in piedi, e «se la Rai mi darà questa possibilità bene, se no vivremo lo stesso, la soddisfazione di rispondere, come oggi, con l’antimafia dei fatti, è superiore al diritto di replica». La vicenda potrebbe chiudersi qui, anche perché il Cda di ieri non è stato affatto incoraggiante sul diritto di replica di Maroni, con l’opposizione dei consiglieri di centrosinistra e Udc ad una risoluzione precisa che impegnasse Raitre a invitare il ministro. «Ho chiesto di andare in Rai, sto aspettando la risposta», ha ribadito Maroni. Se si vorrà procedere, la presenza del ministro dipenderà solo dalla moral suasion di Masi su Ruffini (convocato per oggi pomeriggio dal dg), ma soprattutto da quest’ultimo, a cui spetta il pallino.
In giornata si era sbilanciato Zavoli, il presidente della Vigilanza Rai («Mi pare che gli garantiscano uno spazio per il contraddittorio»), che oggi sentirà in audizione il Cda della tv pubblica, Garimberti compreso. Ma Zavoli era ottimista. Il presidente della Rai invece ha tirato un colpo al cerchio e uno alla botte auspicando che Masi e Ruffini trovino l’intesa, perché «è opportuna la presenza di Maroni» alla trasmissione. Cosa, però, già esclusa da Ruffini, che a questo punto è costretto a fare il giapponese e imbavagliare Maroni, oppure a rimangiarsi quanto detto. Brutta situazione gli ha regalato Saviano... Sempre che, come probabile, Maroni non lasci cadere con eleganza (e molta astuzia) la cosa.
Un provvedimento disciplinare dell’azienda potrebbe invece arrivare nei confronti del capostruttura Loris Mazzetti, che in un impeto polemico ha risposto direttamente al ministro senza averne titolo.
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