Leggi il settimanale

L’ultimo schiaffo a Obama: «È il primo presidente donna»

«E se Obama fosse il primo presidente donna?» Fa male la domanda che Kathleen Parker lancia sul Washington Post. Lei, commentatrice di punta, guru del pensiero, premio Pulitzer come migliore editorialista non ha dubbi: quello che manca al presidente americano è grinta e aggressività: è deficit di testosterone. Sa comunicare bene Obama, fin troppo; sa arrivare al cuore della gente, emoziona, è l’uomo che ha vinto con lo slogan «Yes we can», il riscatto per l’America stanca di un Bush troppo cowboy sempre giù nei sondaggi di gradimento. Quello di Obama è lo stile comunicativo delle donne. Ma davvero - si chiede la Parker - questa caratteristica lo aiuta? «Lo studio Ovale è fatto di codici, e sono codici maschili: una crisi richiede azioni immediate e decise, anche ostentate». Ecco perché Obama non funziona. «Lui potrebbe essere il primo presidente uomo a pagare un prezzo politico per il suo comportarsi come una donna». Una riflessione che crea imbarazzo, i repubblicani non hanno perso occasione per prendere in giro Obama, l’impasse è tutta per i democratici: non è facile reagire davanti ad una critica scivolosissima. «Essere donna» non può essere un’accusa, e difendersi sarebbe un suicidio mediatico. Lo dice la stessa Parker, «Dico donna usando il termine nell’accezione più positiva possibile». Insomma il problema è proprio Obama, un presidente a cui manca l’aggressività dei maschi, nelle decisioni è troppo lento, tutta colpa di quel suo spirito di squadra, di quel lavoro di gruppo, sentire tutti prima di decidere. Obama è femminile quando parla, quando costruisce coalizioni invece di misurarsi con gli avversari, quando sceglie l’unione invece della spaccatura. È questo che rischia di danneggiarlo, Obama ascolta troppo.
Il flash la Parker lo ha avuto quando ha acceso la tv e ha visto un presidente inginocchiato sulla spiaggia di Port Fouchon in Louisiana per sporcarsi le mani di catrame. Passeggiava sulla spiaggia, giacca appesa al dito dietro la schiena e faccia triste. Era lì per rendersi conto, per tirare le somme del disastro del petrolio della Bp. Guardava e soffriva. E si vedeva. Obama è tutto in quell’immagine. Eppure anche in quel caso dice Parker, ha tergiversato. Insomma, il solito errore, la solita scivolata. È questione di stereotipi in fondo. «Quando ha rivolto il primo discorso ufficiale alla nazione, ricorda la giornalista, cinquantasei giorni dopo l’inizio della crisi, ha usato verbi al passivo per il 13 per cento delle sue frasi: che sembra un dettaglio, ma è una cosa mai vista in alcun discorso presidenziale».
È l’accusa più grave, che ferisce di più. Obama non abbastanza efficace, non abbastanza uomo. Ancora non molto tempo fa le donne che osavano scrivere o parlare in pubblico venivano rimproverate. Oggi le cose sono cambiate, ci sono stati passaggi di mezzo, battaglie, scontri, slogan urlati in piazza.
Oggi ha vinto l’emancipazione, la donna come l’uomo, ma la cultura fatica ad adeguarsi. «E per quanto illuminati siano gli esseri umani che vogliono eliminare le discriminazioni di genere, i nostri cervelli continuano ad avere un’agenda differente.

Accade ancora troppo spesso che le donne siano punite per la loro scarsa corrispondenza agli stereotipi perché troppo mascoline o non abbastanza femminili». È successo anche a Hillary Clinton, la chiamano «l’avvocato», decisamente troppo maschio.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica