L’Unione ostaggio di un rigurgito antimodernista

Gianstefano Frigerio *

Il Giuramento della Pallacorda ricorda, per certi versi, il varo del programma elettorale da parte dell’Unione: la contraddittoria varietà delle posizioni culturali e politiche, la volontà autolesionista di esternare le differenze, un unico collante (Berlusconi), i sintomi già evidenti della divaricazione futura dei destini.
Quelli della Pallacorda finirono stritolati dal susseguirsi di ondate ribellistiche, fino al colpo di Stato del 18 brumaio.
Ma la palese incapacità, meglio impossibilità, di sintesi da parte di Prodi, rischia di produrre due effetti disastrosi per il Paese: sul piano della politica estera e sul piano dei processi di modernizzazione.
Parliamo delle sfide della modernizzazione rese sempre più drammatiche dalla globalizzazione, dall’emergere di nuove economie, dall’invecchiamento dell’Europa.
C’è nell’Unione una vasta, dinamica, variegata area ribellistica - antimodernista fatta da no-global, reduci nostalgici del ’68 e di ogni rigurgito rivoluzionario, disobbedienti, antagonisti, cobas, professionisti dell’agitazione, ecologisti sentimentali ed emotivi, che rende impossibile l’emergere ed il crescere di un riformismo europeo, blocca ogni adesione agli sforzi di rinnovamento ed ammodernamento del Paese, trasforma il programma in una litania di elusioni, silenzi, fughe in avanti.
Il programma dell’Unione sul versante delicato delle modernizzazioni è molto più allarmante delle più cupe previsioni. Con questo programma il Paese si blocca ed arretra, entrando anche in rotta di collisione con le decisioni di investimento già assunte dalla Ue.
Pensiamo ad esempio all’energia che è il cuore del futuro: la sinistra è contro il ritorno del nucleare, non vuole il carbone (Civitavecchia), non vuole i rigassificatori (Brindisi), è contraria ai termovalorizzatori (Campania). Però vuole applicare il protocollo di Kyoto.
Con queste posizioni assurde l’Italia non riuscirà a diversificare le fonti e le forniture, non abbatterà i costi, non allargherà i margini di sicurezza dell’approvvigionamento. La sinistra spinge in concreto il Paese verso uno stato permanente di emergenza.
Parliamo della mobilità. È sotto gli occhi di tutti il balletto ridicolo sulla Tav, la ferma contrarietà al ponte di Messina, i continui voltafaccia sul Mose a Venezia, il veto di Penati contro la BreBeMI e la Tangenziale esterna di Milano. E tutti ricordano le polemiche sulla Variante di Valico.
Per di più la sinistra è protagonista di molta retorica sul declino, è portatrice di ogni sorta di allarmismi e disfattismi. Ed ora, che deve spiegare agli italiani come intende governare il Paese e favorirne lo sviluppo e la modernizzazione, ecco che diventa prigioniera di una sorta del Sindacato del No.
Ci sono altri elementi inquietanti nella linea politica della sinistra: il rifiuto di alleggerire il peso burocratico dello Stato, l’ostilità verso la scuola non di Stato, la difesa corporativa degli organi professionali, la volontà di modificare e di ingessare la legge Biagi. E la direttiva Bolkestein è vista come una turpe eresia.
In sintesi nella sinistra ha vinto la linea dello statalismo conservatore, del burocratismo asfissiante, della rinuncia ad ogni sforzo di modernizzazione del Paese.


Con questi ferri vecchi l'Unione vuole esorcizzare il futuro.
* parlamentare di Forza Italia

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