L’Unione raddoppia. E sbaglia

Mario Palmaro

La Commissione di bioetica varata dal presidente del Consiglio Romano Prodi non è altro che un patetico rattoppo. È il maldestro tentativo politico di disinnescare le mine etico-giuridiche che popolano gli incubi del nuovo esecutivo, già dilacerato dalle uscite dei suoi ministri. Un giorno Rosy Bindi apre alle coppie gay, un altro giorno Livia Turco lancia l'offensiva sulla Ru486, e il giorno dopo Fabio Mussi ritira l'adesione dell'Italia alla dichiarazione sui diritti degli embrioni umani.
Prodi si è ritrovato fra le mani una squadra di governo che senza complimenti schiera un attacco a tre punte sulle frontiere della vita umana, contro i diritti dell'embrione e della famiglia naturale. E così ha pensato bene di correre ai ripari, costruendo un nuovo organismo, l'ennesimo, dove annacquare le tensioni dentro la melassa informe del dialogo e della mediazione.
Ma ne uscirà sicuramente un rimedio peggiore del malanno. Tanto per cominciare, non si capisce che senso abbia creare un simile strumento, dal momento che esiste già un organo autorevole e istituzionale come il Comitato nazionale per la bioetica (Cnb). Nel quale siedono non politici, ma esperti di etica, di medicina, di diritto.
A meno che - come aveva già fatto a suo tempo il ministro della Sanità Umberto Veronesi - non si voglia aggirare il Comitato nazionale per la bioetica e svuotarlo delle sue prerogative, magari per il fatto che la sua composizione - dovuta alle nomine di Silvio Berlusconi - non è ritenuta coerente con l'attuale maggioranza di governo.
Per tacere poi dei nomi che forse saranno chiamati a far parte della commissione, nomi invero inquietanti che l'altro giorno sono stati anticipati dal Corriere della sera: Emma Bonino, Daniele Capezzone, Livia Turco, Barbara Pollastrini. Politici le cui posizioni su aborto, eutanasia, fecondazione artificiale e simili sono ben note.
Non si vede per quale ragione la creazione di un organo collegiale dovrebbe dissipare le insanabili contraddizioni che attraversano il centrosinistra sui grandi temi della vita e della famiglia. Anche se ai radicali e ai pasdaran della cultura della morte verranno contrapposti - secondo un nuovo manuale Cencelli della bioetica - i nomi di qualche cattolico illustre della sinistra, come ad esempio Paola Binetti o Ignazio Marino, rimarranno del tutto irrisolti i nodi che avevano già fatto traballare il centrosinistra durante la campagna elettorale.
Se i cattolici della Margherita si illudono di poter fermare Bonino e diessini, si sbagliano di grosso. La verità è che bisognava pensarci prima. Bisognava che i grandi problemi della vita e della morte fossero messi nell'agenda politica dei partiti prima del voto; e che anzi divenissero pietra di paragone per decidere alleanze e stendere programmi di governo.
Tutto il teatrino della politica italiana si era illuso che argomenti come l'aborto e l'eutanasia, la fecondazione in vitro e i Pacs, potessero essere risolti facendo appello alla coscienza individuale di ministri e parlamentari. Lo speravano anche certi cattolici, che hanno i sudori freddi ogni volta che si introduca nella discussione la parola «embrione».
Ma il tempo è galantuomo, e ai primi vagiti il governo è già inciampato in ciò che si voleva mettere fra parentesi.

È una lezione istruttiva: nonostante si faccia di tutto per toglierlo di mezzo, il piccolo e indifeso embrione mette alle corde l'arroganza e l'ipocrisia degli uomini già nati.

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