L’UNITÀ NON BASTA SERVONO LE IDEE

Silvio Berlusconi sarà il leader della Casa delle Libertà alle elezioni politiche del 2006. Da una parte, dunque, il leader c'è. Dall'altra non si sa. In molti, dal centrosinistra, ci hanno fatto, nei giorni scorsi, un discorso strano. Il leader c'è, hanno detto, ma faremo le primarie per dargli ancora maggiore forza. Contenti loro, contenti tutti.
Il presidente del Consiglio pose egli stesso il problema allorché sostenne che era sua intenzione «fare tutto ciò che era più opportuno per conseguire una vittoria». Durante una colazione con Casini, Fini, Follini e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni Letta, il problema è stato messo da parte perché è stato definitivamente risolto. Casini ha sostenuto anche che la candidatura a premier di Berlusconi non è stata mai messa in dubbio. A noi era sembrato che, in giro, fosse circolato qualcosa più di un dubbio, ma forse la malizia ci ha tradito.
Del resto anche altri, come ad esempio Roberto Formigoni, qualche giorno fa aveva sostenuto che il problema si sarebbe posto solo nel caso in cui - e Formigoni stesso si augurava che ciò non avvenisse - Berlusconi avesse fatto un passo indietro. In queste settimane, e per un certo verso è anche un bene, se ne sono dette e sentite di tutti i colori. C'è chi ha sostenuto che la leadership non è tutto, che non si vincono le elezioni solo con la leadership, che governare è diverso dal vincere le elezioni, che le coalizioni - alla fine - sono più importanti dei leader, che i leader vanno costruiti nel consenso.
Tutto discutibile, tutto opinabile, ma senza leader non si va da nessuna parte. E la domanda di fondo è: c'è un'altra figura capace di tenere insieme, ad oggi, a meno di un anno dalle elezioni, le varie anime che compongono la coalizione di centrodestra? Evidentemente anche gli stessi responsabili dei partiti della Casa delle Libertà che, legittimamente, potrebbero, in cuor loro, aspirare a sostituire Silvio Berlusconi ritengono che il tempo per fare ciò non sia ancora maturo.
Il problema è che tenere insieme non basta. Perché se un leader, per tenere unita una coalizione, è condannato ai veti continui di una parte e, in definitiva, all'immobilismo (sia pure non totale), il risultato è negativo. Questo vale ancora di più nel caso di un governo che voglia portare a compimento riforme serie, che cambino molti degli ingranaggi di questo Paese e che ne rimetta in moto altrettanti. Il centrodestra ha senso se fa questo tipo di riforme. Altrimenti basta e avanza il centrosinistra. Non lo pensiamo noi, lo finiranno per pensare gli elettori.
Ora che la leadership è decisa occorre pensare al programma. Occorre pensarci seriamente perché l'accordo su di esso è una delle garanzie necessarie per evitare l'immobilismo o la lentezza delle riforme.
Sicuramente un programma elettorale deve scaldare i cuori. Non può solo rivolgersi alle menti. Bisogna considerare, però, che la congiuntura politica internazionale e le difficoltà dell'economia possono bruciare sogni anche molto ben studiati e comunicati. Nella borsa della spesa possono disintegrarsi anche i programmi politici più belli.
Non sarà come nel 1994, non sarà come nel 2001. Se una leadership potrà essere esercitata sarà quella della trasparenza sulle cose possibili da fare e sulla impossibilità che la coalizione di centrosinistra ne faccia alcune fondamentali dove l'accordo tra le parti sarà impossibile. Non è difficile individuare i temi e comunicare con chiarezza perché Prodi (se sarà lui) non potrà fare quello che sarebbe necessario fare.


I progetti possibili del centrodestra. I progetti impossibili (e necessari per il Paese) del centrosinistra. Un leader come Berlusconi questo tipo di idee può comunicarle in modo vincente. Vanno elaborate. Prima possibile.

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