Questarticolo è unauto-denuncia: sono da oltre 20 anni un fuorilegge. Accetterò con dignità la punizione che merito e, sperando di mitigarla, manifesto da subito la buona volontà di riscattarmi cominciando con lessere franco: il recente «scandalo» caro-libri mi ha lasciato perplesso. Mi limito solo a chiedere perché mai i 30 euri di un testo di filosofia o di un commento allInferno di Dante facciano scandalo e i 90 euri di una polo di cotone ai grandi magazzini no. Forse, lo scandalo non è dei libri che si vorrebbero (chissà perché proprio i libri) quasi gratis; né degli editori che si vorrebbero (chissà perché proprio gli editori) Dame di San Vincenzo. Lo scandalo, direi piuttosto, è che troppi sono i libri di scuola - da quelli di storia a quelli di scienze - che non valgono il peso della carta. Come mai?
La risposta è in una sola parola, che nella fattispecie è un numero: 68. Il numero che, come un virus contagioso, ha privato di tutte quelle libertà che sono necessarie per lo sviluppo di una scuola di qualità. Labolizione degli esami di riparazione a settembre o del voto alle elementari, per esempio, sono «conquiste» non solo post ma soprattutto propter 68: la prima ha privato gli studenti della libertà di non studiare, la seconda li ha privati della libertà di migliorare.
Vantarmi di non aver fatto il 68 sarebbe vanagloria, visto che ero, allora, in quarta ginnasio (per mia fortuna, cattolica e privata sin dalla I elementare). Mi vanto, allora, di non essere stato contaminato da quel virus. Unaltra sua «conquista» sarebbe quel coitus interruptus che sono gli appelli mensili desame alluniversità: una pratica quanto mai masochista che, da quando sono professore - oltre 20 anni, ormai - mai ho esercitato. Più precisamente, è da oltre 20 anni che ho istituito lappello-unico-annuale (Aua): la settimana successiva la fine dei corsi che insegno tutti gli studenti sono obbligati a sostenere lesame, uguale per tutti. Chi non lo sostiene o non lo supera deve rifrequentare il corso. Da oltre 20 anni sono, come vedete, un fuori-legge, ma gli studenti sono felici (ci crediate o no, anche quel 10% che non supera lesame).
Quella dei fuori-corso è una delle tante piaghe che affligge la nostra università: lAua la rimarginerebbe. Definitivamente. È così che si fa nel resto del mondo: corso e, subito dopo, esame per tutti; e arrivederci allanno successivo per chi non supera. Ed è per questo che nel resto del mondo il fuori-corso è una rarissima eccezione e non lendemica regola.
In facoltà azzardai a proporre lAua. Senza successo, va da sé: troppi i contagiati cronici dal virus, presidi e rettori inclusi. Quando gli studenti sostengono, tutti insieme, uno stesso esame ben congegnato, gli esiti si dispongono - insegna la statistica - secondo una tipica curva a campana: la coda sinistra della campana contiene i bocciati, quella destra il massimo dei voti, in mezzo tutti gli altri. Esteso a tutti i corsi, il mio Aua (insisto: non è mio, si fa così ovunque nel mondo) comporterebbe che, alla fine, gli studenti che concluderanno gli studi magna cum laude saranno solo quei pochi eccellenti della coda destra della campana statistica; mentre sarebbero fuori dalluniversità, già dalla fine del primo semestre del primanno, quelli della coda sinistra. Oggi costoro, invece, siedono nei senati accademici, a rappresentare nessuno se non se stessi, visto che alle elezioni delle cosiddette rappresentanze studentesche (altra «conquista» del virus) oltre il 90% degli studenti ha la saggezza di neanche andare a votare. Senonché, a forza di rappresentare se stessi, è da 40 anni che anche quelli della coda sinistra sono gratificati magna cum laude. Alcuni di costoro sono diventati anche rettori; i più si sono sentiti qualificati a scrivere libri di storia e di scienze che non valgono il peso della carta.
Dopo la re-introduzione, alle elementari, dellabito unico (il grembiule) e del maestro unico, forse lonorevole ministro vorrà riflettere, per i corsi alluniversità, a quella dellappello unico desame.
Franco Battaglia
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