Ho personalmente molta diffidenza sugli effetti che il ritorno a una legge elettorale proporzionale - sia pur corretta da un premio di maggioranza alla coalizione vincente - produrrà sul nostro sistema politico-istituzionale. Sono pronto naturalmente a ricredermi, ma aggiungo che non ho mai seriamente pensato che essa contenesse scelte contro la Costituzione. Sono due cose diverse: un conto è dire che una legge è fatta bene o male nel merito, un altro è dire che essa è incostituzionale. Spesso questa decisiva differenza sfugge a molti. E il fatto che il Presidente della Repubblica abbia deciso di promulgare questa legge, nonostante i molti appelli, anche autorevolissimi, che ne denunciavano l'incostituzionalità, mi induce ad alcune considerazioni.
Esse riguardano, in particolare, un'abitudine diffusissima, in questi ultimi anni, presso il ceto intellettuale dei costituzionalisti: quella cioè di definire incostituzionale ogni provvedimento sgradito. Quante volte abbiamo assistito a mobilitazioni, appelli e raccolte di firme per la condanna di provvedimenti legislativi proposti dalla maggioranza? È vero che la maggioranza non è riuscita a far breccia in un certo mondo accademico, ricevendone in cambio un'ostilità fortissima. Ma è anche vero che nel modo di agire e di pensare di molti costituzionalisti vi è uno sfruttamento politico partigiano, davvero eccessivo, della Costituzione e dei suoi valori. Vi è, inoltre, un'insidiosa trappola ad uso degli osservatori meno consapevoli: perché il costituzionalista, presentandosi come tecnico neutrale, porta in dote all'opinione che sostiene un decisivo plusvalore di neutralità e di competenza tecnica, che viene abilmente speso nella contesa politica.
Così, se la «maggioranza dei costituzionalisti» condanna come incostituzionale un provvedimento, questa condanna non si presenta come un'opinione tra le altre: diventa verità tecnica incontestabile. E l'argomento viene immediatamente sfruttato dai partiti e dalle forze che ne hanno l'interesse politico. L'opinione contraria, si faccia attenzione, non solo viene sminuita, ma perde addirittura di dignità: quale legittimazione può avere una posizione anti-costituzionale? Con queste armi l'avversario non viene solo battuto, ma anche delegittimato ed eliminato dal dibattito delle idee.
Di fronte a questo modo di procedere, bisognerebbe cominciare col dire una verità elementare. Come accade in quasi tutti gli ambienti intellettuali, la maggioranza dei costituzionalisti è culturalmente orientata a «sinistra», e le sue prese di posizione inevitabilmente ne risentono. Quando si sente dire che la «maggioranza dei costituzionalisti» ha espresso una certa opinione, si dovrebbero quindi fare delle distinzioni: ci sono certo casi in cui l'autonomia della scienza giuridica reclama i suoi diritti e impone la condanna di scelte legislative. Ma in molti altri casi opinioni politiche rispettabilissime vengono indebitamente rivestite del sacro crisma della scientificità e della neutralità. E le voci contrarie vengono condannate senza appello. La Carta costituzionale diventa così un'arma politica, e i tecnici pretesamente neutrali che ne discettano si fanno a loro volta strumenti della lotta politica.
Sulla legge elettorale non è andata così. Speriamo che, in futuro, questo induca tutti gli osservatori «tecnici» a maggiore prudenza.
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