L’uso politico della morte

Proprio perché è stato il più bravo tra i cronisti italiani del Novecento, nel giorno dell’addio Enzo Biagi avrebbe avuto diritto a una lunga cronaca della sua vita e della sua carriera, così ricche di grandi fatti e di grandi storie. Al contrario, al momento dell’estremo saluto i fatti e le storie hanno lasciato il posto alla più tronfia retorica e alla più livorosa polemica, entrambe utilizzate per rialzare quei toni dello scontro politico che a parole tutti vorrebbero abbassare.
La retorica, intanto. Come quella con cui sono state strumentalizzate le parole del presidente Napolitano: «Scompare con Enzo Biagi una grande voce di libertà». Certo che era un uomo libero. Ma non un martire della libertà di stampa, visto che forse nessuno come lui ha avuto a disposizione tanti e così vari mezzi per comunicare, e visto che non ha vissuto da oppositore in una dittatura, ma da protagonista in un Paese libero: anche quando ha dovuto lasciare la Rai. Retorici i sermoni sulla voce libera che scompare, e retorica quella del Tg1, che gli ha dedicato uno speciale intitolato «L’ultimo cronista». L’ultimo?
E poi la livorosa polemica. Come quella della senatrice Manuela Palermi del Pdc, che ha definito Biagi «vittima del berlusconismo». Finché a parlare è una Palermi, passi. Ma ci si è messo anche il presidente del Consiglio, a ricordare «l’attentato alla libertà» ordito da Berlusconi. Ci si è messo Veltroni - che per una volta ha dismesso la veste ecumenica - a dirci che Biagi «avrebbe meritato di essere accompagnato, in questa fase della sua vita, dal rispetto e dalla considerazione». Ci si è messo Eugenio Scalfari, a parlare di un «antiberlusconiano» che era «certamente scomodo», e ci mancava solo che dicesse che per tale «scomodità» gli mancò il lavoro. Ci si è messo il deputato ulivista Franco Monaco, ad accusare di «ipocrisia» i politici e i dirigenti Rai che «ieri gli hanno messo il bavaglio e oggi si profondono in enfatici riconoscimenti». Ci si è messo l’ex grande umorista e oggi grande moralista Michele Serra, a scrivere che «l’ostracismo patito da Biagi» è stato un ostracismo «contro il giornalismo».
E poi. E poi i deputati dell’Ulivo Lusetti, Ceccuzzi e Cento, che vogliono sapere come mai nei tg di ieri «non è stato messo in evidenza il famoso episodio che causò l’allontanamento dal servizio pubblico». Si chiedono, i tre: «Se i tg di oggi fossero stati diretti da Enzo Biagi, sarebbe stato ricordato l’episodio dell’editto bulgaro?». E noi chiediamo loro: ma lo sapete che da un anno e mezzo al governo c’è il centrosinistra e i tg Rai sono lievemente meno berlusconiani di qualche anno fa?
E poi ancora, purtroppo, Marco Travaglio, che forse dimentica che tra cristiani - ma, più in generale, tra uomini - è buona norma rendere omaggio ai morti, qualunque contrasto si abbia avuto con loro in vita: «Spero - ha detto Travaglio - che Biagi abbia stilato l’elenco delle persone che non vorrebbe vedere ai suoi funerali». E ancora: «Aver rovinato gli ultimi cinque anni di vita di Biagi è un crimine. Temo che non succederà, ma mi auguro che Berlusconi e i suoi servi Del Noce e Saccà, che nel 2002 eseguirono il diktat bulgaro, trovino almeno il coraggio di tacere». Ma perché tutto questo rancore?
Per dire quanto siamo faziosi noi del Giornale, sull’episodio del diktat bulgaro scrive oggi Mario Cervi qui a fianco, e potete tutti leggere che cosa pensa. Non nascondiamo nulla, dunque. Ma quando sentiamo un Giuseppe Giulietti, ex sindacalista Rai e attuale parlamentare del Pd, che dice «oggi coloro che ci hanno impedito di vedere Biagi in tv dovrebbero provare un pizzico di vergogna», pensiamo che a provare vergogna, e non un pizzico, dovrebbe essere chi porta avanti gli interessi della propria bottega anche di fronte a una morte.


Faziosi noi? Ieri Paolo Mieli, il direttore del Corriere della Sera, cioè del giornale di Biagi, a domanda precisa sull’editto bulgaro ha risposto: «Non credo che Enzo avrebbe voluto essere ricordato oggi per quell’episodio». Vediamo se qualcuno darà del berlusconiano anche a Mieli.
Michele Brambilla

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