Con «Lait» è l’ottima recitazione a inondare la scena di luminosità

Mikail e Cal possiedono una dote straordinaria: sono in grado di emettere luce attraverso i loro corpi. Il Greco, un celebre e misterioso artista, li invita a partecipare a una delle sue «installazioni luminose viventi». Prima di diventare delle opere d'arte devono però sottoporsi a dei grotteschi «esercizi d'illuminazione». I due giovani si conoscono mentre sono ospiti in una scuola che assomiglia pericolosamente a una clinica o a una prigione. Entrambi fanno parte di un esperimento dall’esito inquietante: la loro luminosità potrebbe essere alienata a vantaggio del celebre artista, che garantirebbe in cambio la vita eterna. «Lait», lo spettacolo che Renzo Martinelli ha tratto da un testo di Magdalena Barile, è una favola allarmante, pregna di suggestioni scientifiche e filosofiche. Martinelli ha trasformato anche questa volta il «Teatro i» (via G.Ferrari, 11) in una wunderkammer tecnologica, nella quale i due giovani e bravissimi interpreti vivono in una condizione di cattività volontaria. Peccato che il testo della Barile stenti ad accendersi: il linguaggio utilizzato tende forse al chiaroscuro, ma si assesta in un chiarore standard, da luce al neon. Lo spettacolo, in scena fino a domenica, è comunque di eclatante bellezza sul piano visivo, oltre che recitato in maniera eccellente.

Proprio quest'ultimo elemento offre un’ulteriore conferma al mistero di una generazione di attori, all'incirca trentenni, che sembrano quasi il frutto di una mutazione genetica, di un esperimento che sembra averli veramente dotati di un’innata luminosità.

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