di Emanuela Fontana e Massimo Malpica
Roma «È il numero tre d’Italia, quello che ci sta a rompe i coglioni». Tra le migliaia di frasi in codice intercettate a Gennaro Mokbel e alla sua banda, c’è anche questo riferimento, oscuro, a un misterioso «numero tre» del Paese che evidentemente dava fastidio all’imprenditore al centro del maxi riciclaggio che coinvolge anche Fastweb e Telecom Sparkle. Chi è questa persona di cui Mokbel, con il consueto linguaggio colorito, parlava nel 2007 come di un ostacolo?
LA FUGA DI NOTIZIE E I TIMORI DELLA «BANDA»
Il 2 febbraio 2007 l’imprenditore amico dei boss è preoccupato: «Sta su tutti i giornali, da dieci giorni», spiega allarmato al telefono. «Sui giornali» si anticipa l’inchiesta della procura di Roma su un commercio di traffico telefonico fittizio. Molti manager indagati, anche il presidente di Fastweb Silvio Scaglia. «I brutti stanno continuando a lavorare... però niente, si sta cercando di controllare e porre rimedio quando sarà», dice al telefono lady Mokbel, ossia Giorgia Ricci, a un altro dei protagonisti dell’inchiesta, Augusto Murri. Il «gruppo» Mokbel dà segnali di agitazione, dei quali resta traccia nell’immensa sequenza di intercettazioni agli atti. Quel 2 febbraio era divenuta «ufficiale» l’iscrizione di Scaglia nel registro degli indagati. E il 23 gennaio del 2007 era stata Repubblica a sparare il colpo: «Fastweb sotto inchiesta, indagati i manager», scriveva Giovanni Pons. A seguito di quest’articolo, l’ad di Fastweb Stefano Parisi denunciò alla Consob e alla procura di Milano il rischio di manovre speculative sul titolo della società rientranti in una «pericolosa strategia speculativa e di scalata», strategia in cui per Parisi rientrava l’articolo.
«METTETEVI TUTTI D’ACCORDO DOVE SIETE STATI E PARAPÀ»
Contemporaneamente, Mokbel studia la difesa: avvisa Murri su un appuntamento dato a «tutti» per il 23 febbraio. Murri gli chiede «dove?», lui risponde: «Dove sei arrivato con la mia quando siete partiti, che vi siete fermati e hai detto ammazza che bello». È attentissimo, Mokbel, quel giorno al telefono. L’incontro, spiega, è fondamentale «perché voi dovete mettervi tutti d’accordo su come vi conoscete, dove siete stati e parapù e parapà». E qui spunta il giallo del «potente» senza nome. Uno degli inquirenti o un’eminenza grigia? Mokbel: «L’anziano e il sellerone c’hanno i mandarini... Noi continuiamo ma ho dato lo stop a marzo. Deve finire sta tarantella, perché bisogna inizia’ a prepararsi bene... perché non stamo manco a combatte con uno scemo... questo è un... è il numero tre d’Italia, quello che ci sta a rompe i coglioni».
IL PRESIDENTE «PARANOICO» E GLI AFFARI CON CIARRAPICO
C’è una conversazione «rubata» in auto il 19 novembre 2007 dalle microspie tra Mokbel e un tale Francesco Capalbo, il cui tenore per gli inquirenti è «singolare». Mokbel parla di tutti e di tutto: «Il presidente della Regione Sicilia che mi dice Ge’, si fa una vita di merda... perché quel paranoico che cosa fa lui... lui gli appuntamenti strani te li dà alle 3.30 di notte al Pantheon, ma tre volte a settimana, loro lo accompagnano al Pantheon, lui scende... fermatevi qua... e inizia a incontrare tutti i siciliani strani di giù... gli ho fatto “ah Nino”, ha detto Genna’ io mi faccio i cazzi miei, io mi faccio la scorta, per me deve dare conto pure dove chiama... a me mi sta pure sul cazzo conoscerlo (...) Tu calcola che ne pago 80 su Roma... le gioiellerie, le palestre (...) poi mio cognato hai capito chi è no? L’ingegnere (Giancarlo Scarozza, ndr) (...) che ha fatto il costruttore di una famiglia importantissima... i Scarozza-Finocchi. Finocchi sarebbe l’ex capo del Sisde che arrestarono a Montecarlo qualche anno fa (...) pensa che Caltagirone lavorava per il papà di mio cognato». Infine, Mokbel torna a pensare agli affari: «Noi a dicembre dobbiamo fa per lo meno un qualche cosa...
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