L'amaro Giuliano va di traverso a Prodi

Sulla riforma della legge elettorale il ministro Giuliano Amato apre a Berlusconi che dice sì. Favorevoli i Ds: "Proposta da valutare". E il premier rimane spiazzato

da Roma

Una «Convenzione» (il termine rievoca quella chiamata a scrivere la Costituzione europea) per varare una nuova legge elettorale e le riforme istituzionali necessarie. La proposta lanciata ieri da Giuliano Amato è rimbalzata con fragore nel mondo politico.
Il ministro degli Interni parla di «una sede politica nella quale le forze dei due schieramenti si trovino», e immagina che potrebbe essere nominata da deputati e senatori e che tra i suoi componenti non avrebbe «solo parlamentari» ma anche «docenti, giuristi e “saggi” di estrazione diversa». Non si tratterebbe di una nuova Bicamerale, si affretta a mettere le mani avanti Amato per non provocare travasi di bile a Romano Prodi, che ben ricorda come venne affossato il suo primo governo: anzi, spiega, sarebbe il modo per lasciare il governo più libero di «portare avanti regolarmente le sue attività», mentre intanto si lavora a «consolidare il bipolarismo».
Amato liquida l’ipotesi di legge elettorale tedesca (proporzionale con sbarramento) che piace ad esempio a Casini e Bertinotti, e rilancia il maggioritario, con doppio turno alla francese: «Se la piattaforma fosse quella - spiega - è chiaro che il miglior alleato da coinvolgere sarebbe proprio il partito più grande della coalizione avversaria». Un’esplicito richiamo a Silvio Berlusconi, che d’altronde Amato sa essere «sempre più insofferente al ricatto dei partiti minori». Leggasi Udc e Lega, ossia i possibili interlocutori di chi nel centrosinistra punta a conservare il proporzionale (e a far durare il governo). E poi il ministro apre al referendum elettorale, e invita le principali forze del centrosinistra a non regalarlo a Berlusconi e al «vento dell’antipolitica».
L’uscita di Amato prende di sorpresa tutti. O quasi. Di certo sorprende Prodi, che non era informato e che non ne è affatto contento, e si può capire. «Sembra un bis della Bicamerale», dice il prodiano Monaco. Così come su tutte le furie era il ministro dei Rapporti col Parlamento Chiti, che ha il mandato di «esplorare» le forze politiche sulla riforma e che avverte: ma quale Convenzione, «governo e parlamento hanno scelto un’altra strada e su quella continuiamo ad andare avanti».
E infatti il premier ieri pomeriggio si è affrettato a sottolineare che «quella di Amato è un’intelligente riflessione, però il governo ha dato l’incarico a Chiti» di occuparsi della faccenda. Ma lo stesso Amato confida di aver trovato sponde a questa sua idea sia nel centrosinistra che nel centrodestra. In tutti quelli che pensano che «se saltasse qualsiasi ipotesi di dialogo sarebbe un bel problema», perché «ci aspetta un anno molto difficile» e al Senato «c’è poco da fare, siamo 157 pari».
E in molti, dentro l’Unione, rilevano che queste riflessioni vanno nella direzione più volte auspicata dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano, con il quale d’altronde Amato ha un antico e solido rapporto. Anzi più d’uno si spinge ad ipotizzare che l’apertura del titolare del Viminale possa aver avuto l’avallo del Presidente. Il che spiega perché, come ha detto ieri Piero Fassino ai suoi, «non possiamo liquidare questa proposta, che va valutata bene». E infatti una nota della segreteria ds manifesta «interesse» per la Convenzione e ribadisce che «il referendum non può essere lasciato al centrodestra».
Applaude il comitato promotore del referendum (nel quale son presenti Ds, Dl e Forza Italia), che con il presidente Guzzetta ipotizza un «rinvio» della raccolta delle firme nel caso si facesse la Convenzione. E si tratta di un percorso che lo stesso Amato avrebbe illustrato ieri a Prodi: rinviare il referendum al 2009, concedendo l’abbinamento alle Europee, e nel frattempo lavorare con la Convenzione a una legge (maggioritaria) che lo disinneschi. Ma Prodi non si è convinto che questa strada possa mettere al riparo il suo governo. I partiti minori (che ieri, dal Prc all’Udeur, sono insorti come un sol uomo) temono un «inciucio» tra Ulivo e Fi per «far fuori la sinistra radicale», come denuncia il ministro di Rifondazione, Paolo Ferrero. E se si concretizzasse, avverte Mastella, il governo sarebbe a rischio.
Ma anche i capigruppo dell’Ulivo danno l’altolà ad Amato: Dario Franceschini (Dl) e Anna Finocchiaro (Ds), colti entrambi di sorpresa, concordano in mattinata due dichiarazioni di sostanziale chiusura. A sera, però, arriva l’apertura dei Ds.

Spiega un autorevole dirigente: «Se vogliamo fare una riforma vera, come chiede Napolitano, e uscire dal proporzionale, dobbiamo dialogare con Fi e scegliere una sede ben esposta, come fu la Bicamerale e come può essere la Convenzione». E nemmeno Prodi «può essere ostile a questa strada. Se vuole davvero fare la riforma».

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