Un po' Easy Riders, un po' Il Selvaggio di Marlon Brando, The Bikeriders, appena arrivato al cinema in Italia, torna a raccontare la cultura al margine della legge dei club motociclistici nell'America degli anni '50 e '60.
Diretto da Jeff Nichols, il film vede protagonisti Austin Butler, Tom Hardy e Jodie Comer. Lo spunto è tratto dall'omonimo libro del fotografo Danny Lyon, che negli anni Sessanta divenne famoso per le sue fotografie legate ai movimenti per i diritti civili in America. Lyon ha esplorato in prima persona le storie e i personaggi del Chicago Outlaws Motorcycle Club, un gruppo di motociclisti dediti ad azioni criminose di cui lo stesso Lyon fece parte dal 1963 al '67, un po' reporter infiltrato, un po' uno di loro. «È un libro affascinante, ci sono le interviste a decine di motociclisti e ci sono tantissime foto che raccontano quella cultura - spiega il regista - Danny Lyon aveva l'incredibile talento di far aprire anche le persone che meno di altre volevano farlo, come questi motociclisti, le loro mogli e fidanzate. La mia voglia di fare questo film non è partita tanto da una passione per i motorclub dell'epoca quanto da un reale interesse per questi emarginati intervistati da Danny Lyon».
La trama, inventata ma ben radicata in quella sottocultura, racconta di un club di fantasia, The Vandals, che raccoglie un gruppo motociclisti con una propensione alla delinquenza. È anche la storia di una sorta di triangolo fra i personaggi interpretati dai tre protagonisti. L'oggetto del contendere è Benny (Austin Butler), che Kathy (Jodie Comer) conosce in un bar. Benny è il componente più giovane del club guidato dall'enigmatico Johnny, interpretato da Tom Hardy. Proprio come accade all'intero Paese, attraversato in quegli anni da scosse sociali importanti, il club inizia a trasformarsi in un pericoloso agglomerato di violenti. E Benny è costretto a scegliere tra Kathy e la lealtà al club.
La passione per le motociclette Austin Butler l'ha ereditata dal padre. «Ci sono praticamente nato con le moto. Mio padre era molto appassionato. A quindici anni mi aveva già messo in sella». Sebbene piuttosto ferrato sull'argomento moto, Butler confessa la sua ignoranza, prima del film, circa l'universo dei club motociclistici di quell'epoca. «Hanno iniziato come semplici gruppi di persone che amavano guidare una moto, correre e parlare di motociclette. Poi le cose sono cambiate. La rivoluzione giovanile della fine degli anni '60, il trauma sociale creato dalla guerra in Vietnam e tutto ciò che stava accadendo in quel periodo ha fatto erodere un po' della purezza dei primi tempi. Ben presto quei club non riguardavano più gente unita dall'amore per le motociclette e per le corse. La violenza si era insinuata, il mondo del crimine aveva iniziato a prendere il sopravvento». Butler individua il suo personaggio in una delle foto del libro di Lyon. «È un ragazzo sfuggente, dietro un biliardino. Nel libro non ci sono interviste legate a quella fotografia e quindi ho dovuto immaginarmelo. Per diventare Benny mi sono buttato sulla moto, ho corso più veloce che potevo e ho fumato tantissimo». Il suo personaggio rappresenta anche lo spirito dello stesso Danny Lyon, che con il suo libro immortalò il fenomeno. «Abbiamo cercato di catturare l'essenza di quel documento, e l'eredità di Danny e di tutti i fotografi che con coraggio documentarono l'America in un periodo storico pieno di contraddizioni e traumi», continua Jeff Nichols, regista che spesso interseca drammi sociali e storie d'amore.
Austin Butler le motociclette le conosce ma non aveva mai guidato gli esemplari vintage riproposti nel film.
«Mi sono allenato per mesi e c'è voluto parecchio tempo per abituarmi a quelle moto, così diverse da quelle di oggi, più difficili e più pericolose. Francamente guidare una moto a sessanta miglia all'ora, senza casco, oggi, è davvero spaventoso».
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