Lang Lang: «Ora conquisto il mondo»

La star cinese del pianoforte domani in concerto a Torino. «Se vuoi crescere devi respirare l’aria di Milano, Parigi, Vienna o Berlino»

Ciò che tocca diventa oro, sorta di Madonna della musica classica. Si chiama Lang Lang, pianista cinese, ventiseienne. Negli Usa, dove vive - ma ha pure una casa a Pechino - è stato additato fra «i venti giovani che cambieranno il mondo». Anche la Cina se lo tiene ben stretto, tanto da affidargli la torcia per la cerimonia d’apertura dei Giochi Olimpici. Lang Lang è in Italia per tre concerti, l’ultimo dei quali si tiene domani all’Unione Musicale di Torino. La tournée si incrocia con l’uscita del cd Sogno d’amore: un centone di pezzi godibilissimi, tra cui Sogno d’amore di Liszt registrato alla Carnegie Hall nel 2003. Disco che Lang Lang dedica all’Italia, «in apertura di un anno cruciale per Pechino», aggiunge.
Pechino, appunto. Una città che corre all’impazzata. La intimorisce tale fermento?
«C’è tanta fibrillazione, e ne sono felice. Certo, sono curioso di sapere fin dove si spingerà il fiume d’energia».
Dall’Italia si guarda spesso a Pechino come a una città-industria, avvelenata dall’inquinamento, stremata da una competizione senza ritegno. Cosa risponde?
«Sono molto preoccupato per i problemi ambientali che vessano la Cina e sto lavorando in questa direzione con le Nazioni Unite che a ragione sono preoccupate».
E sul fronte della competizione?
«Competere non è negativo se lo si fa con logica e buon senso. Conta che non vi siano forzature, ma che prevalga la volontà di esprimere il proprio talento».
In questo senso Lei è un modello per i pianisti cinesi...
«So di essere un idolo per le giovani generazioni, la cosa mi entusiasma però sento il peso della responsabilità».
Nelle vesti di Ambasciatore della nuova Cina, cosa sente di dire circa il livello di democrazia nel suo Paese?
«Io viaggio continuamente in giro per il mondo e dopotutto non trovo che la Cina viva questo problema, almeno nella misura in cui viene posto altrove. Certo, non è perfetta».
Si dice che i suoi cachet siano stellari, proviene da un’infanzia segnata da ristrettezze. Che rapporto ha con il denaro?
«Non sono un uomo d’affari, quando metto piede in palcoscenico lo faccio per ragioni artistiche, che poi fra le conseguenze vi sia un buon onorario, be’, questo è un valore aggiunto... aiuta la qualità della vita».
Un tempo suo padre la seguiva ovunque, ora?
«I miei genitori vivono a Pechino, mi accompagnano durante le lunghe tournée. Non mancano mai quando ho concerti in Italia, adorano Roma e Venezia e in genere lo stile italiano. Mio padre va matto per il vostro calcio».
E lei?
«Anche, tifo per il Milan. Poi amo la moda italiana».
Vive in altalena fra New York e Pechino. Due metropoli, due stili di vita.
«Solo New York ha respiro internazionale. In compenso, Pechino si sta sviluppando più in fretta. Staremo a vedere».
Quando venne per la prima volta in Italia, mi disse che un pianista prima o poi deve lasciare la Cina e studiare altrove. Sono cambiate le cose nel frattempo?
«No.

In Cina ti puoi creare un solido bagaglio tecnico, però devi espatriare se vuoi svilupparti come interprete, devi soggiornare nelle città che hanno conosciuto una certa storia della musica, che ne so, Milano, Parigi, Vienna, Berlino».

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