Gli eroi dei videogiochi hanno un modo molto subdolo di invecchiare. Non mostrano rughe, la voce non si incrina, il passo non si fa più lento o incerto. La silhouette resta intatta, così come gli universi creati per dar loro dignità di esseri virtuali. Ma quando le dita di un bambino smettono di armeggiare con i comandi del pad tutto si affievolisce e ciò che il giorno prima era il fulcro dell’immaginario collettivo diventa semplicemente... un vecchio videogioco.
Nel 2001 ha avuto la copertina di Time e di Newsweek, è stata protagonista di ben sette avventure interattive, ha venduto oltre quattro milioni di copie ed è stata protagonista di due film, eppure Lara Croft sembra la prima star in pixel destinata a incamminarsi sul viale del tramonto. Per porre rimedio a questo declino la Eidos tenta la carta del revival e getta nella mischia Tomb Raider: Anniversary giocando su un doppio anniversario, i 40 anni virtuali dell’eroina creata dieci anni fa da Toby Gard.
Da una parte si strizza l’occhio ai nostalgici riproponendo la storia del primo videogame, dall’altra si lancia un fischio alle nuove generazioni con un vigoroso restyling grazie a nuove engine e rivoluzionari programmi grafici che dieci anni fa non erano nemmeno nella mente di Dio. Il tempo e gli incassi ci diranno se l’operazione confezionata a tavolino andrà a buon fine, ma nessuno potrà negare che la contessa di Abbington con i suoi pantaloncini di tela militare e la sua doppia coppia di seni prosperosi e revolver automatici rappresenti ancora oggi l’unico esempio riuscito di eroina crossmediale. Videogiochi, film, action figure, card, indumenti, gadget. I pixel di Lara Croft si sono trasformati molto presto in copiosi verdoni, per dirla alla Paperon de’ Paperoni, e quando Angelina Jolie accettò di prestare il suo volto alla versione in carne e ossa della predatrice di tombe più sexy della storia, sembrò come se si fosse chiuso un cerchio. Ma forse qualcuno ha voluto tirare troppo la corda stressando all’inverosimile un’icona che probabilmente andava lasciata decantare o energicamente rivitalizzata con progetti che abbandonassero i concept un po’ stucchevoli delle adventure ripetitive per spingersi nei reami fatati dei nuovi sistemi di gioco massivi. Ma la verità potrebbe essere un’altra, anche se più dolorosa
Lara Croft nasce come risposta a Indiana Jones e gioca tutto sulla declinazione femminile dell’avventuriero col cappello di feltro. Le sue potenzialità sono in gran parte racchiuse nelle coppe da quinta misura perché, per il resto, è un avatar munito di corda e pistole alla caccia di tesori e trabocchetti come ce ne sono tanti.
Ma dal 1996 Toby Gard e compagni non hanno saputo prevedere l’inevitabile e si sono lasciati cullare dai dobloni guadagnati in diritti d’autore. Oggi sembra più lecito pensare che Lara Croft non abbia tanto bisogno di rifarsi il trucco ma di muoversi in un universo più credibile e sofferto. Uno scenario nuovo in grado di rivitalizzare una personalità messa in ombra per fare il gioco di quella ampia forbice di target maschile attenta più al sobbalzare delle natiche che ai nemici da abbattere.
Magari chiedendo aiuto al numerosissimo stuolo di fan, capaci di trasformare un pupazzetto di pixel fasciato da un body lycra color verde acqua in un essere transmediale capace di saltare da un sito internet a un podcast con la naturalezza con la quale si
muove sullo sfondo di una tomba violata. All’inizio avrebbe dovuto essere un uomo, poi avrebbe dovuto chiamarsi Laura Cruz. Il fatto che sia Lara Croft, se ogni nome ha un destino, dovrà pur condurre a un finale diverso.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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