Controcultura

L'arte non dichiara guerre. E non deve "arrendersi"

Al direttore d'orchestra russo si impone di prendere le distanze da Putin. E Guttuso? E Furtwängler?

L'arte non dichiara guerre. E non deve "arrendersi"

A che punto è giunta la notte! L'intimidazione al direttore d'orchestra Valery Gergiev da parte della Carnegie Hall di New York e della Filarmonica di Monaco, e ora anche della Scala di Milano, è più che sconcertante. Ha il sapore di una vendetta contro chi non ha responsabilità politiche, ma solo quella libertà di opinione che i principî democratici dovrebbero garantire. Una odiosa vendetta illiberale che applica lo stesso metodo di chi vorrebbe contrastare. Con la differenza che il rapporto di forza e l'oggettiva prepotenza si applicano a chi non c'entra, a chi non è responsabile, con un procedimento asimmetrico. Come far pagare a Pirandello le colpe di Mussolini. Colpire la cultura è odioso. I Paesi e le istituzioni democratiche, per rappresaglia contro Putin applicano gli stessi criteri di Putin. E non è l'«occhio per occhio, dente per dente», ma piuttosto l'«occhio per dente», per ritorsione contro l'obbiettivo sbagliato e cercando di imporre, con il ricatto e l'opportunismo, non una azione nobile, un ripensamento frutto di riflessione, ma una abiura. Puoi suonare, o dipingere o scrivere solo se non sei d'accordo con Putin. Non c'è spazio per pensieri o idee diversi, anche se non li manifesti. E non risultano dichiarazioni di Gergiev dopo l'occupazione della Ucraina, né nessuno ha pensato di chiedere a Conte di rinnegare le sue dichiarazioni di stima per Putin. Salvini lo ha fatto, ma nessuno glielo ha chiesto o imposto con la minaccia, come è stato con i deputati no vax esclusi dal Parlamento.

Ben diverso era stato l'atteggiamento con un altro grande direttore d'orchestra, Wilhelm Furtwängler, il quale aveva diretto vari concerti a vantaggio del regime nazista: nel febbraio 1938 la Filarmonica di Berlino per la Gioventù hitleriana e, nello stesso anno, l'opera I maestri cantori di Norimberga di Richard Wagner per il compleanno di Adolf Hitler. I suoi concerti erano anche trasmessi alla radio per sollevare il morale delle truppe. Inoltre diresse a Praga nel maggio e nel novembre del 1940, e ancora nel marzo del 1944 per il quinto anniversario dell'occupazione tedesca. Nel 1942 diresse la Nona di Beethoven in occasione del compleanno di Hitler. Dopo la guerra si giustificò dicendo che aveva cercato di proteggere la cultura tedesca. Eppure Furtwängler fu chiamato a dirigere nuovamente in pubblico, in Italia, appena terminata la Seconda guerra mondiale: e proprio il Teatro alla Scala di Milano mise in scena L'anello del Nibelungo sotto la sua direzione. L'opera fu ripresa nel 1953 alla Rai di Roma. Storiche sono state alcune collaborazioni con le orchestre della Rai della capitale e di Torino: il concerto per violino di Brahms con Gioconda De Vito, il quarto concerto per pianoforte di Beethoven con Pietro Scarpini, la terza, quinta e sesta sinfonia di Beethoven e perfino la quinta sinfonia di Cajkovskij con l'orchestra della Rai.

La musica e l'arte non dipendono dalle ideologie, e nessuno chiese a Guttuso di rinnegare l'Urss al tempo dei fatti d'Ungheria o della Primavera di Praga, ed egli dipinse I funerali di Togliatti, con dichiarazioni di fede anche nei confronti di Stalin. L'opera venne esposta a Mosca il 18 ottobre 1972 all'Accademia delle Belle Arti e garantì al pittore il Premio Lenin, 20mila rubli che Guttuso regalò al Vietnam del Nord. Paolo Mieli ricorda le considerazioni dello storico Victor Zaslavsky per spiegare lo stupore di molti visitatori davanti al quadro, durante una mostra all'Hermitage di Leningrado: «Si deve capire che per moltissime persone quei simboli, quelle facce significano oppressione, terrore, ricordi di morte, di amici scomparsi, parenti uccisi, la cancellazione totale di ogni giustizia e legalità». Altro ricordo: Lev Razgon, notevole figura di intellettuale che passò 17 anni nei gulag, chiese a Guttuso come mai avesse scelto di raffigurare Stalin ma non Krusciov. Guttuso semplicemente non gli rispose...

Oggi il sindaco di Milano Sala proibirebbe di esporre quel dipinto a Palazzo Reale, perché Guttuso non ha rinnegato il comunismo e l'Unione sovietica, per le occupazioni ben più dure e violente di quella di Putin in Ucraina? Guttuso, in un testo inedito, aveva scritto: «Alla base di molte impazienze e delusioni sta il fatto che per molti, anche di buona fede, un vero disgelo dovrebbe significare l'abbandono della vita socialista e il rientro nella vita occidentale. (...) Se una precettistica è sempre inammissibile in arte, per di più venne imposto un piatto manierismo simile al naturalismo borghese (Repin è affine al napoletano Morelli, e Vereshciaghin è un Meissonier ancora più noiosamente minuzioso)... Sicché l'arte sovietica si trova in posizione di vantaggio per ciò che riguarda l'essenziale e impacciata nella pratica, proprio in virtù delle stesse forze. Mentre da noi accade il contrario. (...) Non credo che basti invocare una generica liberalizzazione nel senso di chiedere al P.C.U.S. di disinteressarsi delle questioni dell'arte e della cultura. C'è anzi da augurarsi che il partito se ne occupi più a fondo, vincendo nelle proprie stesse istanze e nelle organizzazioni culturali, le resistenze, le riserve, la sacralità delle consuetudini, rinnovando i metodi, e soprattutto aiutando le menti di molta gente a ripulirsi dalle incrostazioni e dagli schemi, riesaminando i termini della fiducia che il partito ha avuto in organismi e persone (...)».

Con quale logica oggi si può pensare di «sospendere», per pura retorica, un direttore d'orchestra? In nome di quali principi? Questi gli argomenti del sindaco Sala: «Il maestro ha più volte dichiarato la sua vicinanza a Putin. Con il sovrintendente del teatro gli stiamo chiedendo di prendere una posizione precisa contro l'invasione. Se non lo facesse, saremmo costretti a rinunciare alla collaborazione. Queste situazioni impongono di intervenire». Se non lo facesse? La risposta viene da un giornalista russo, Evgeny Utkin: «Le dichiarazioni del sindaco di Milano mi hanno sinceramente lasciato molto sorpreso, sembra un accanimento nei confronti del maestro Gergiev, uno dei migliori direttori d'orchestra sulla scena internazionale: dovrebbe essere giudicato solo per questo. La richiesta di una sua dichiarazione politica è da clima tedesco degli anni Trenta. Segna pure un precedente pericoloso. Temo che potranno fare lo stesso con la prima ballerina della Scala, Svetlana Zakharova, o col soprano Anna Netrebko». E non si può dimenticare, in nome dell'arte, che il Teatro alla Scala ha relazioni molto strette, storiche, con templi della musica e del balletto come il Bolshoi di Mosca e il Mariinskij di San Pietroburgo. Nel 2018 vi arrivò proprio il corpo di ballo del Bolshoi di Mosca per rappresentare i capolavori del repertorio classico di Cajkovskij (Petipa, Il lago dei cigni, La bella addormentata, Lo schiaccianoci), con i ballerini di queste grandi compagnie che negli anni '50 hanno prodotto i primi fenomeni internazionali: Vladimir Vassiliev e Rudolf Nureyev. E ancora: le tournée di produzioni scaligere in Russia, soprattutto al Bolshoi ma anche al Mariinskij, sono una tradizione consolidata. Dagli anni '60 il sipario del Bolshoi si è aperto decine di volte sulle opere, i balletti e i concerti della Scala. Ritorsione chiama ritorsione.

E la cultura non sarà vittima di Putin ma del pensiero unico che oggi avviluppa anche gli ex comunisti italiani, che hanno vissuto di Sartre, di Brecht, di Mao, di Feltrinelli e di Evtushenko, senza chiedere loro di abiurare o di schierarsi con la Nato, prima di una conferenza, di una rappresentazione teatrale, di un concerto. Qui non è Hitler, è l'Inquisizione: non si può cantare, non si può suonare, non si può dipingere, non si può danzare, se non si rinnega Putin. E tutti, tutti quelli che hanno citato il falso Voltaire, con solennità e orgoglio: «Non sono d'accordo con quello che dici ma darei la vita affinché tu possa dirlo», pronti ad accettare le grottesche censure e minacce, senza batter ciglio.

Forse perché si è scoperto che Voltaire non lo ha mai detto, e che la nobilissima frase, da tutti invocata e da nessuno applicata, è di una signorina quasi sconosciuta: Evelyn Beatrice Hall, la quale, evidentemente, scherzava.

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