La riscoperta di Julius Evola, dopo la sua adesione al Fascismo e la conseguente damnatio memoriae negli anni del dopoguerra, come toccò a molti artisti e a lui in particolare con una violenza analoga a quella che colpì Pound e Céline, coincide con gli anni della mia adolescenza, i primi '60, e con la mia passione per la poesia. E non perché Evola fosse un poeta dimenticato o maledetto (quale non fu) ma perché suo garante, in quei tempi difficili, fu l'amatissimo editore dei poeti, «all'insegna del pesce d'oro», Vanni Scheiwiller. Ebbi anche la fortuna di conoscerlo e di essere suo collega al settimanale L'Europeo. Nessuno aveva avuto coraggio di pubblicare Evola, tra gli editori rispettabili. Scheiwiller lo fece. Ciò che lui toccava godeva di un'aura di sacralità. Dei tanti poeti e artisti che gli dobbiamo, certamente i più rappresentativi, riemersi dal nulla, sono Adolfo Wildt e Julius Evola. E io personalmente gli devo anche Giacomo Noventa, Camillo Sbarbaro, Angelo Barile, Antonio Delfini, Sandro Penna, Cristina Campo, Alberto Denti di Pirajno. Scheiwiller non sbagliava; e nel '63 pubblicò Il cammino del cinabro di Evola che, nella ristampa delle Edizioni mediterranee, è preceduto da una istruttiva declaratoria: «Perché ho pubblicato Evola? Lettera di Vanni Scheiwiller a Lamberto Vitali del 10 gennaio 1962». C'era dunque bisogno di spiegare, per non essere compromessi o accusati di simpatie destrorse (come più volte è accaduto a Scheiwiller), in una editoria tutta di sinistra, con l'eccezione di Rusconi e, più tardi, di Adelphi.
Dunque la prima rivalutazione di Evola avvenne quarant'anni dopo il tempo della sua più significativa e intensa produzione artistica (di cui oggi sono custodi ed eredi spirituali e materiali, oltre al filosofo Gianfranco de Turris, Carlo Fabrizio Carli, Guido Andrea Pautasso e Giorgio Calcara, tutti esponenti della Fondazione Evola). Nella seconda fase, dopo le prime difficoltà e resistenze, vi fu, nel 1998, una mostra a Palazzo Bagatti Valsecchi a Milano, a cura di Francesco Tedeschi e Carlo Fabrizio Carli. Dunque la riscoperta di Evola è stata tardiva, contristata e ambigua, nonostante il fondamentale e coraggioso contributo di Enrico Crispolti il quale, per primo, nel 1963, dopo avere conosciuto Evola nel 1959 propose il corpus delle sue opere nella prima mostra retrospettiva presso la Galleria «La Medusa» di Roma, rivelando «la qualità così esplicita e intensa dei suoi quadri» che rappresentavano «un episodio tutt'altro che marginale e superfluo (...) delle vicende della cultura figurativa d'avanguardia in Italia». Il gallerista Claudio Bruni, impegnato nella ricostruzione dei fondamentali del secondo Futurismo, ricorda la sua visita nello studio di Evola - a lui noto soltanto come filosofo inattuale - e la sorpresa di trovare dipinti fino a quel momento ignoti, conservati con noncuranza nell'abitazione dell'artista: «Per il mio interesse alla sua pittura, notai che era sorpreso e sospettosamente curioso; mi chiese come avevo fatto a scoprire che tanti anni prima egli aveva dipinto. Le sue opere, più o meno, erano tutte ancora lì, circa una trentina, e riempivano gli spazi liberi dei muri della sua casa (...) ogni volta che mi soffermavo su un quadro la voce di Evola, profonda, dallo studio giungeva ad illustrarmi l'opera (...) come se mi seguisse con lo sguardo attraverso i muri del suo appartamento. (...) Mi apparve subito evidente che il momento dell'Evola pittore era di altissima importanza, sia per la cultura italiana che per un più ampio discorso a livello europeo». Bruni presentò successivamente, in assoluta anteprima, due dipinti di Evola nella mostra Dopo Boccioni (1961), curata con Maria Drudi Gambillo: la coraggiosa acquisizione dei Musei Civici di Brescia corrisponde al primo ingresso di Evola in una collezione pubblica italiana. Di seguito, sempre Scheiwiller avrebbe acquistato l'intero archivio di documenti, testi originali e inediti di ispirazione dadaista. Certamente fu essenziale la garanzia extra-ideologica, quindi pura, di Crispolti, il primo a ravvisare in Evola le radici dell'astrattismo e le affinità con Kandinskij che mi hanno indotto a evocare, anche per Evola, lo «spirituale dell'arte». D'altra parte la sua attitudine filosofica e la sua ricerca puramente intellettuale lo rendevano estraneo all'esibizionismo futurista, tanto da fargli scrivere: «Non tardai però a riconoscere che, a parte il lato rivoluzionario, l'orientamento del futurismo si accordava assai poco con le mie inclinazioni. In esso mi infastidiva il sensualismo, la mancanza di interiorità, tutto il lato chiassoso e esibizionistico, una grezza esaltazione della vita e dell'istinto...». È un passaggio importante della sua autonoma libertà creativa, che confina con un'altissima dignità morale, incompresa e vituperata.
Oggi appare incontestabile la forza creativa e originale di Evola, nel tempo limitatissimo della sua produzione pittorica, tra 1913 e 1921, quando «andò oltre», per dedicarsi ad altri settori della cultura come l'esoterismo, le tradizioni, le analisi dei simboli, la storia delle religioni. Negli anni buoni, in rapporto con Tristan Tzara, Evola fu il più importante esponente italiano del dadaismo. Proprio a Tzara scrive il 3 gennaio 1920: «Aderisco con entusiasmo al vostro movimento al quale senza saperlo mi ero avvicinato già da tempo in tutte le mie opere; e che dichiaro essere il più importante e il più profondamente originale che sia comparso fino ad oggi nell'arte». Il 17 marzo puntualizza: «Trovo molto naturale la nostra rottura con i cubisti: in quanto non so in che cosa avrebbero potuto avvicinarsi al vero spirito del movimento». Nel marzo del '21 sarà ancora più esplicito: «Non avevo mai trovato, in tutta la mia esperienza culturale, cose che sentissi come le vostre, e vi sarò sempre grato per il senso di interiorità e di astrazione che molte delle vostre poesie hanno alimentato in me». Nell'epistolario con Tzara si apprezza anche la dimensione internazionale della ricerca di Evola, che ha rapporti con Christian Schad, Blaise Cendrars, Jean Arp, in un contesto di relazioni con Jean Cocteau, Marcel Duchamp, Max Ernst, Benjamin Péret, Man Ray...
Nella mostra Julius Evola. Lo spirituale nell'arte che sta per aprirsi al Mart di Rovereto (dal 15 maggio al 18 settembre, a cura di Beatrice Avanzi e Giorgio Calcara), la più importante e ricca fin qui realizzata, si conferma la grande tensione interiore di Evola che prende le distanze dall'originaria esperienza futurista, nella scia di Balla, perché rappresenta «una sorta di dinamismo su base essenzialmente sensoriale, una sorta di slancio vitale del tutto sprovvisto di una dimensione interiore». La sua ricerca può essere intesa come «astrattismo mistico». Certamente Evola è fra i più notevoli esponenti dell'arte astratta. E non poteva che interpretarla come una esperienza mistica e iniziatica se, nel 1925, nel saggio Sul significato dell'arte modernissima, osservava: «Il capolavoro dell'arte moderna sta altrove, non nella produzione di un'opera perfetta, organizzata e compiuta, bensì nella realizzazione di un nuovo modo di vivere la funzione estetica... rispetto alla quale realizzazione ciò che viene prodotto rappresenta un momento secondario trascurabile». Infatti si consuma fino a evaporare, o a trasformarsi da arte implicata a arte applicata, ponendosi al servizio della pubblicità, come farà, proprio in quegli anni, Fortunato Depero. Con Evola finisce una concezione filosofica e spirituale dell'arte. In lui è possibile avvertire una veritiera affinità con Kandinskij, confermando le intuizioni di Crispolti. Del resto Evola nel Dadaismo aveva riconosciuto l'anticipazione di un «ulteriore processo», portato però «nell'ordine delle potenze non del mondo ideale, sibbene di quello reale. Così l'arte pura può dirsi il preludio della magia» e «tutto quel che è umano e pratico, può essere superato». Evola annuncia il suo «suicidio artistico», avvenuto nel '22.
Quello che farà dopo esce dai confini dell'arte figurativa ed è la drammatica e titanica testimonianza di un sopravvissuto. Antagonista del mondo moderno, che lui stesso aveva contribuito a far nascere, rovesciando nel suo il destino di Kandinskij.
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