LATINAMERICANDO

Sul futuro nuovo museo d’arte contemporanea firmato Daniel Libeskind da qualche mese è calato un silenzio inquietante. Nel clima di tagli alla cultura, razionalizzazione delle spese e nuove tasse, il progetto nell’area di Citylife presentato come uno dei fiori all’occhiello della vecchia giunta, ha tutta l’aria di essere finito in freezer. Sui tempi di scongelamento il neoassessore alla Cultura Stefano Boeri non si è ancora pronunciato, tali e tanti sono i nodi da sciogliere (primo tra tutti la questione Expo), e nella convinzione che prima di mettere carne al fuoco occorra capire e «valorizzare» l’esistente. E per valorizzare davvero servirebbero milioni di euro, da spendere in personale di custodia - vecchia spina nel fianco dei nostri musei - spazi da recuperare, cantieri da terminare, progetti da rendere operativi. Qualche esempio? La Rotonda della Besana, che attualmente ospita la mostra di Anish Kapoor, ha sotterranei da sfruttare per oltre un migliaio di metri quadri e altrettanti spazi sarebbero disponibili in un’area sottostante i portici. E ancora: il secondo edificio dell’Arengario che ospita ancora uffici comunali è stato giustamente indicato come il gemello ideale per il nuovo Museo del Novecento, e potrebbe degnamente ospitare il resto della collezione, gli archivi e anche più adeguati spazi espositivi. Eppoi c’è il cantiere dell’ex Ansaldo, 2.321 metri quadrati in un’area di archeologia industriale altamente suggestiva: meriterebbe non soltanto di essere concluso ma forse anche nuove valutazioni sul suo futuro, dal momento che il bacino culturale pubblico ha sicuramente altre urgenze rispetto a quella di un museo delle culture extrauropee (oltre all’arte contemporanea manca, tanto per fare un esempio, un adeguato museo sulla moda). Alla luce della situazione e dell’orientamento della nuova giunta, la questione Libeskind appare dunque quantomai spinosa e per una ragione molto semplice. È pur vero che il nuovo museo d’arte contemporanea verrebbe acquisito praticamente chiavi in mano da Palazzo Marino, dal momento che i 40 milioni di euro per la sua edificazione sono quasi interamente compensati dagli oneri di urbanizzazione di Citylife. Ma è altrettanto vero, come non ha mancato di sottolineare Boeri, che fiorirebbero costi di gestione tutt’altro che indifferenti: secondo i calcoli del Comune, almeno sette milioni di euro all’anno. In tempi come questi, dove perfino questioni prioritarie come la grande Brera sono arenate per mancanza di fondi, dove troverà il Comune tutti questi soldi? Il nuovo assessore auspica ottimisticamente una maggior partecipazione dei privati, quando purtroppo la realtà direbbe esattamente l’opposto, visto che i grandi mecenati privati - come dimostra l’ambizioso polo museale di Banca Intesa - quando non serrano i cordoni della borsa preferiscono sempre più far da sè anzichè finanziare il pubblico. La sensazione, insomma, è che il nuovo museo contemporaneo sia destinato a rimanere un sogno di pochi, come del resto già avvenne una decina d’anni fa per un analogo progetto ai Gasometri della Bovisa. Una maledizione? Fino a un certo punto se quel risparmio netto (e forse anche il recupero dei famigerati 40 milioni di oneri) servisse davvero a rilanciare il patrimonio espositivo esistente che, non dimentichiamocelo, ammonta a oltre 12mila metri quadri. Oltre a completare i cantieri aperti, ampliare gli spazi espositivi e realizzare aree commerciali e di ristorazione (quelle sì da affidare ai privati), si potrebbero rinforzare gli organici del personale di custodia e prolungare gli orari di apertura e, perchè no, investire nelle produzioni.

Senza dimenticare nuovi spazi che il Comune potrebbe offrire in gestione alle fondazioni private: una grande occasione è (era) contenuta nel famigerato Pgt che obbliga a destinazioni culturali una percentuale delle nuove cubature. La perderemo?

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