Il paludato Eugenio Scalfari, vate del pensiero progressista, affonda ancora in una citazione. Stavolta gli è stato fatale leloquio dei padri latini. Difatti nelleditoriale di domenica scorsa su Repubblica, piatto fisso per i palati fini della sinistra, il maestro-fondatore dalla penna rossa esibiva la dotta citazione: «Deus dementet qui vult pervere». Ecco, fanno notare i cultori della lingua dei Cesari ma pure gli economisti di Milano Finanza, la formula corretta sarebbe in realtà: «Quem vult perdere Deus dementat». Tradotto per chi non mastica i classici: «Dio fa uscire di senno chi vuole perdere». Insomma, refusi o meno, Barbapapà ha cannato tre termini su cinque.
Non è solo questione di sottigliezze da eruditi. Qualcosa deve essersi inceppato nelle stanze di largo Fochetti, affollate di severi censori e fustigatori di errori altrui, perché ieri il vicedirettore Massimo Giannini si trovava costretto allennesima errata corrige - ahi ahi, di nuovo il latino! In fondo alla pagina delle lettere, lammissione di colpevolezza: «Per una spiacevole svista, nel commento uscito ieri (lunedì, ndr) su Affari e Finanza dal titolo La Grecia e il poker delleuro, ho scritto Primo Levi al posto di Carlo Levi. Me ne scuso con i lettori». Si figuri, per carità, capita. Tuttavia il sempre giovane vicedirettore inanella unaltra perla nella personale collana degli strafalcioni. E si sa, pescando nel mega archivio di internet, la memoria dei lettori è davvero lunga. E non perdona. Così emergono precedenti scomodi.
Latino, storia e geografia: la «Repubblica» degli strafalcioni
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