Latitante. Lo ha già detto il governatore Attilio Fontana e sarebbe fin troppo facile ripetere che (anche) alla Prima della Scala, Milano ha dimostrato di poter fare a meno della politica. Confermando che gli assenti hanno sempre torto: intanto perché approfittandone si può sempre parlar male di loro e poi perché quest'anno era davvero una serata da non perdere. Andata ben al di là delle aspettative, nonostante Chailly e Ortombina avessero assicurato che Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Shostakovich, fosse un capolavoro non del Novecento, ma dell'intera storia non solo della musica. E il soprano Sara Jakubiak invitasse ad "allacciare le cinture di sicurezza". E così è stato: per la forza emotiva del testo, la potenza della musica, il genio del regista Barkhatov e la serata di grazia di direttore e musicisti. Ma soprattutto per la reazione emotiva ed emozionante del pubblico. Un trasporto che nessuno prevedeva, soprattutto in una serata considerata di vacua mondanità. E, invece, a Milano non è così. Nessuno sbadiglio in sala, nessuna sciura che non vedeva l'ora di scendere dai tacchi, nessun commendatore sbuffante e perfino le giovani star dello spettacolo (i nuovi vip) sinceramente compresi nella parte. E così con un po' di politica in meno, ministri a Roma, burocrati a casa, banchieri assenti e imprenditori a sciare, Milano ha dato una grande prova di maturità che sarà bene tener presente. Così come è da notare che in sala c'erano ben cinque billionaire russi, gente il cui patrimonio si conta in miliardi di dollari.
E che ospitare un altro titolo, un regista e cantanti russi, mostra una via artistica alla diplomazia che è un antidoto al veleno della guerra, molto migliore di inutili embarghi e ridicole censure. A proposito di Stalin.