Per il lavoro si può soffrire, ma non morire

La tragica vicenda di Mariarca Terracciano, l'infermiera napoletana morta dopo che, nelle scorse settimane, aveva inscenato uno sciopero del sangue, appartiene a quel genere di storie difficili da raccontare, storie i cui pezzi appaiono ancora staccati gli uni dagli altri, eppure terribilmente chiare nel loro significato più forte, più universale. L'autopsia è in corso mentre scriviamo, perciò non si sa se la causa del decesso siano i 150 ml giornalieri di sangue che la donna si toglieva, ogni giorno, fino al 3 maggio, per protestare contro il mancato pagamento degli stipendi da parte dell’Asl indebitata.
È probabile, così dicono gli esperti, che la sua morte non sia da mettere in relazione con quei prelievi, sospesi ormai da dieci giorni, anche se occorre ricordare che la Terracciano stava conducendo anche uno sciopero della fame che non mi risulta avesse sospeso.
Certo, a molti farebbe piacere poter dire che la Terracciano è morta per i fatti suoi, che il mancato stipendio non c'entra. Può non esserci un rapporto diretto, però un rapporto c'è, ed è su questo punto che mi sembra - anche se io stesso preferirei nascondermi dietro i pezzi del meccano ancora da comporre - che le cose siano molto, molto chiare.
Possiamo invocare tante circostanze attenuanti. L'Asl ha pagato gli stipendi non appena ha potuto. Va ricordato però che i mutui - e la Terracciano ne aveva uno in corso - hanno scadenze che vanno rispettate, e che non tengono nessun conto di variabili come l'insolvenza del datore di lavoro. Va anche ricordato che non tutti abbiamo un amico pronto a prestarci del denaro non appena ne abbiamo bisogno.
Detto questo, ecco la mia domanda. Premesso che Mariarca Terracciano non si è suicidata e probabilmente non aveva nessuna intenzione di farlo, io mi chiedo se e in che misura l'attuale condizione di tante famiglie messe in ginocchio dalla crisi e da una legislazione in materia di lavoro perlomeno caotica non possa portare proprio a questo: alla perdita della voglia di vivere, fino a compiere gesti che sanno di follia, come gli autoprelievi di questa donna.
L'incertezza sul lavoro crea incertezza su tutto, è un buco nero che ci si spalanca davanti e impedisce di guardare al futuro, facendo disseccare in noi quella progettualità che costituisce il motore della nostra umanità. Tutto l'affanno dei giorni, fin dal mattino, si riduce al presente, alla singola bolletta da pagare, alla singola spesa da fare. Cresce così anche la solitudine, perché l'incertezza sul lavoro determina rapporti umani più fragili e spesso intacca perfino la nostra naturale propensione alla fiducia nei confronti della vita e del prossimo.
Io non so se la morte di Mariarca Terracciano dipenda dai prelievi del sangue, o dallo sciopero della fame, o da qualcos'altro, magari una malattia già in corso e non individuata. Sono possibili tante cose, e il narratore coscienzioso non deve farsene mancare nemmeno una.
Tante cose restano da conoscere sul destino di questa povera donna, e non sono sicuro che farne un'eroina, come sta avvenendo per esempio su Facebook, serva a qualcosa. Una persona che fa un uso così barbaro del proprio corpo merita amore, pietà e rispetto ma non ammirazione: non si può ammirare chi considera se stesso come uno zero, fino a deturparsi, a meno di considerarci zero a nostra volta. Ma noi non siamo zero!
Quello che, invece, so bene è che Mariarca Terracciano è morta nel quadro di una tragedia nazionale che ha già fatto morti e, se non si provvede, rischia di farne molti altri.
Forse tempo addietro, e dico forse, perdere il lavoro non era una tragedia. C'era più lavoro in giro, c'erano i sindacati, c'era la lotta politica. La società si muoveva, la solidarietà aveva i suoi luoghi: circoli, movimenti, assemblee. Oggi la gente ha bisogno di un po' di serenità per poter ricominciare a immaginare quello che farà tra un giorno, una settimana, un anno.

Ha bisogno di qualcuno che la aiuti a non perdersi d'animo quando una crisi mondiale unita alla miopia della politica finiscono per scavare, intorno a ogni singola persona, una voragine nella quale è molto facile perdersi, fino ad annullarsi.

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