
La riforma approvata dal Consiglio dei ministri dedica un capitolo centrale alle professioni sanitarie. Dopo anni di dibattiti e tensioni, arriva la misura più attesa: lo scudo penale definitivo per i medici, limitato ai soli casi di colpa lieve. Un provvedimento che risponde a un’esigenza emersa con forza durante la pandemia, quando migliaia di operatori si sono trovati esposti a rischi giudiziari per scelte compiute in contesti di emergenza e carenza di risorse.
Le responsabilità professionali
Il nuovo assetto non elimina le responsabilità professionali, ma le ridefinisce. I medici continueranno a rispondere per colpa grave, dolo o negligenza evidente, ma saranno esclusi dai procedimenti per errori minori o per decisioni prese in situazioni di forte pressione organizzativa. L’intento del governo è duplice: restituire serenità a chi opera in prima linea e ridurre il contenzioso che grava sui tribunali e sul sistema sanitario.
Formazione e specializzazioni
Accanto allo scudo penale, la riforma interviene sulla formazione e sulle specializzazioni. Il testo prevede un maggiore raccordo tra università, ordini professionali e strutture sanitarie, con l’obiettivo di calibrare l’offerta formativa sui reali bisogni del Servizio sanitario nazionale. In particolare, si punta a rafforzare le aree oggi in sofferenza, come medicina d’urgenza, anestesia, geriatria e medicina territoriale, evitando squilibri tra numero di laureati e posti effettivamente disponibili nelle strutture.
Sburocratizzazione
Infine, viene rilanciato il principio di semplificazione e sburocratizzazione anche per i professionisti della sanità.
Meno vincoli procedurali, maggiore digitalizzazione dei flussi e valorizzazione della multidisciplinarità sono gli strumenti individuati per rendere più efficiente il lavoro di medici e operatori. Con circa 460mila iscritti alle professioni sanitarie, il provvedimento segna un passo importante: non una rivoluzione, ma un riassetto che vuole garantire più tutele a chi cura e più certezze a chi viene curato.