Leader in panchina Veltroni ora sogna la Juve

Trema Jean Claude Blanc. Un’ombra agghiacciante si allunga sulle sue poltrone che, come tutti sanno, sono tre, presidente, amministratore delegato e direttore generale della Juventus football club di Torino. Walter Veltroni lo ha annunciato, in tivvù, davanti a telecamere accese di «Domenica cinque» e ad una Barbara D’Urso sorpresa, stupita, incredula: «Vorrei fare il presidente della Juventus, soprattutto oggi».
Eccola la svolta epocale, ecco l’homo novus del calcio, il colpo di scena, il personaggio che può cambiare la storia dopo non essere riuscito a cambiare la cronaca. Dal partito alla partita, il passo è brevissimo, Veltroni è una vecchia fiamma della Juventus, la famosa triade gli concesse l’onore di partecipare a feste e banchetti in manifestazioni varie, scudetti, coppe e affini. Veltroni, abituato a giocare con le figurine Panini e le biglie, realizzò il sogno della sua esistenza infantile, parlare con i giocattoli, cioè i calciatori bianconeri, indossare la maglietta, farsela autografare, calciare la palla, tirare in porta, esultare.
Quando se ne andò a fare il sindaco di Roma fu costretto a lasciare la bandiera e gli autografi nel baule dei balocchi e a indossare la sciarpa della “magggica” e della “aalazio”, essendo la Signora di Torino la più odiata e schifata dai romani tutti assieme. Forse tifava clandestinamente, in una bottega oscura.
Ma quelli sono tempi andati, da diario antico, molta acqua è passata sotto i ponti del Tevere, del Po e della Stura, l’avventura di vertice politico è durata lo spazio di un mattino, «I Care» sembra oggi la pubblicità di uno spazzolino da denti, Walterone per un po’ è rimasto da parte, non in Africa come aveva promesso ma più vicino al domicilio abituale; ha scritto, ha mormorato come il Piave eppoi si è rimesso a cercare siti e miti, ha rinunciato a candidare il proprio libro al Premio Strega senza che nessuno lo avesse però candidato, sente il rumore dei nemici, sa che forse è tornato il tempo di prepararsi alla battaglia, lui annusa l’aria, c’è di nuovo odore di gianduiotti piemontesi, delle figurine chiuse nel baule.
In fondo la Juventus è un po’ come il Partito Democratico, ha cambiato quattro capi in tre anni, da Deschamps a Ranieri, da Ferrara a Zaccheroni, così come Prodi-Veltroni-Franceschini-Bersani, uniti si perde, il potere è passato in altre mani.
Di sicuro la presidenza della Juventus gli permetterebbe di contare su un numero di supporters finalmente superiore e più sicuro di quelli che gli garantivano il partito e il quotidiano, qualunque fosse, dal piccì, all’ulivo, al pidiesse ai diesse, alla direzione de l’Unità, con annessi vangeli o simili, tutta roba piccola rispetto al popolo juventino presente in tutte le circoscrizioni e regioni nostrane e dovunque all’estero, oltre undici milioni di elettori storici, nessuna coalizione pericolosa, nessun patto con l’avversario, nessuna corrente interna e contraria, anzi.
Veltroni for president, chi l’avrebbe mai detto e immaginato. Ma lo ha detto lui e lo immagina lui medesimo, un uomo solo al comando, al centro della tribuna d’onore, nello stadio che fu la casa da gioco di Gianni Agnelli, il massimo del capitalismo brutto, nella società che è un pezzo di Fiat, il massimo della lotta operaia.


Jean Claude Blanc, il francese di Chambery, trema, si è informato, ha voluto sapere chi sia mai questo candidato outsider che mira al suo posto. Dicono che, ricevute le notizie, non si sia affatto tranquillizzato, Walter Veltroni è uno che ama il cinema e la Juventus attuale è un cinema da oscar. Si andrà alle primarie? Mi viene da ridere.

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