MilanoLa macelleria islamica di sotto è in piena attività. Accanto allex garage trasformato in moschea cè ancora lofficina. Al piano di sopra, negli uffici è tutto un viavai di persone: la preghiera è appena terminata. Sono passati tre giorni dallattentato alla caserma Santa Barbara, dove un libico di 34 anni si è fatto esplodere con una bomba artigianale. Il primo kamikaze di Milano frequentava questistituto, in viale Jenner. E nellultima preghiera del Ramadan - 20 giorni fa - stava nel servizio dordine.
«Dottor Abdelhamid...», grida uno dei seguaci. Ray-ban scuri, jeans e scarpe sportive, Abdel Shaari non si fa pregare, e accetta di parlare col Giornale: «Non sono una star televisiva come dicono - sorride -, anzi sento una grande responsabilità, sto male da quel giorno. Cerco una spiegazione che non cè». Una cosa, bontà sua, se la rimprovera: «Non riuscire a controllare tutti. Quel Game si era avvicinato da poco. Se avesse chiesto gli avrei spiegato io che la religione non centra niente con quella robaccia che ha letto su internet». È già successo: «Nessuno viene a dirti voglio fare un attentato. Fanno domande strane. Ma quelli non fanno paura. I fantasmi come Game sì». Quel «fantasma» lui però lo conosceva: «Me lhanno presentato qualche anno fa - ora lo ammette -. Libico come me, siamo pochi». E poi? «Lho rivisto qualche volta negli ultimi mesi. Pregava e andava via. No, non era sposato in moschea». Perché si è ricordato di lui, a metà mattina? «Mi era rimasto impresso il suo cognome, lo stesso di un mio vecchio vicino di casa». Eppure lo aveva accanto anche 20 giorni fa al teatro Ciak per il Ramadan. Una foto li ritrae uno accanto allaltro. E trattava con i giornalisti: «Si è appropriato di quel ruolo. Cerano 4mila persone». Quellimmagine per lui è solo un caso: «Non cera un servizio dordine. Si è formato al momento, con i mariti delle donne velate. La Santanchè voleva togliere loro il velo». In realtà voleva solo che la polizia le identificasse, come da legge: «Sbaglia, tante lo fanno per scelta». Nessuna è costretta? «Qualcuna», ammette.
Parla un italiano calibrato e sboccato, larchitetto Shaari: «Sono un sessantottino - si giustifica compiaciuto -, mi sono accostato tardi allislam. Sono qui da 42 anni. Ne avevo 19. Matrimonio qui. Studi qui. Figli qui». Può sbagliare un accento, ma le parole sa misurarle come si deve. Sa che il suo discorso sullislam lascia unimpressione dambiguità: «Rappresento anche limam e gli altri», spiega. È rodato, Shaari, e ha pronta per tutto una risposta. Le domande sono quelle. «Che legami ho? Nessuno Stato estero ci finanzia. Siamo controllati da tutti i servizi segreti». LEgitto lo ha respinto alla frontiera, e lui tira fuori il complotto: «Qualcuno ha voluto mettermi in cattiva luce. Sento delle trame contro di me. Vogliono farmi fuori». Perché non lascia dopo questo fatto? «Potrei farlo, non me lha ordinato il dottore di guidare il centro per 20 anni. Gli altri mi chiedono di restare. E se andassi via sarebbe peggio. Questo posto sarebbe meno tranquillo». E se finalmente lo chiudessero? «Ci sarebbero migliaia di persone in strada, una situazione fuori controllo». Si rende conto che sembrano minacce: «Sì, ma non lo sono. Non dico non toccatemi sennò è un casino». Intanto anche il suo imam egiziano è stato condannato per terrorismo. E anche lui è ancora lì: «Stiamo valutando un passo indietro - concede Shaari, questo è un punto debole e lo sa - ma deve farlo lui». «Non siamo nemici - batte lindice sul tavolo -. Io sono italiano al 100%. Il mio presidente è Napolitano, non Gheddafi. Partecipo alla politica, voto». Per chi? «Sinistra moderata». Tipo? «Tipo Pd. Ho fatto tutte le elezioni, le primarie, anche queste. Per Franceschini. Ma lultima volta non ho votato Pd. Lho spiegato ai dirigenti di Milano, non volevo Penati. Ho fatto un dispetto votando un alleato».
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