«È lecito discutere su tutto basta non tradire gli elettori»

Roma«Non facciamone un dramma: non è mica la prima volta che Umberto Bossi parla così dell’Inno di Mameli. E poi, a essere onesti, non è stato mica l’unico a farlo».
Non la preoccupa, ministro Rotondi, l’ultimo affondo del Senatùr?
«Perché dovrebbe? Nella storia vi è stato un ampio dibattito in merito, con tanto di osservazioni musicali e lessicali. E pure la proposta di sostituirlo con il Va’ pensiero non porta per prima la sua firma. Insomma, non è eversivo parlarne. È un’opinione isolata, ma non politicamente scorretta. Anche se...».
Continui.
«Festeggiare i 150 anni dell’unità d’Italia, cambiando l’Inno, non sarebbe una trovata geniale. Ma l’ipotesi non è certo in discussione».
Posizione rispettabile, quindi, eppure la polemica non si placa.
«Non sarebbe agosto se la Lega non ci desse qualche opinione forte, con modalità da dibattito in stile La Versiliana o Cortina InConTra. Detto questo, la vita continua».
Altra «sparata»: obbligo di studiare i dialetti a scuola.
«Qui c’è un problema storico».
Quale?
«È l’unico terreno su cui il Carroccio è sicuramente in una posizione minoritaria: nessun loro dialetto ha una valenza internazionale».
Mentre il napoletano sì.
«Esatto. Ecco perché dico: posso sottoscrivere la proposta, a patto che il dialetto napoletano sia contemplato come lingua internazionale, prima ancora dell’inglese. In ogni caso, mi sento rallegrato».
Da cosa?
«Be’, se l’Italia discute di inni nuovi e dialetti, potrebbe voler dire che si sta buttando la crisi alle spalle. Spero che sia vero e che ad attenderci sia un autunno sereno».
Nel frattempo, nessun ricatto al governo, assicura Roberto Calderoli. Convinto, però, che sia la Lega a portare avanti le idee.
«Nessuno ha l’esclusiva. Ciò che conta è il programma con il quale ci siamo presentati agli elettori, in cui si riconoscono Pdl e Lega. Il resto è legittimo dibattito estivo».
Dibattiamo di bandiere regionali.
«È tutto molto surreale: non abbiamo bisogno di rinnovare simbologie che evocano la retorica. La sostanza del cambiamento che sta avvenendo è data dal federalismo, con cui responsabilizziamo gli amministratori locali. Semmai, vi sono altre cose su cui i nostri alleati dovrebbero darci un segnale in più».
Un esempio?
«L’abolizione delle Province, punto cardine del programma, per adesso solo rinviato».
Per il Senatùr, chi non vuole i salari territorializzati, quindi le gabbie, è contro il federalismo.
«Non c’entra nulla, sono temi del tutto diversi. Il federalismo è un modo per imputare a politici riconoscibili la spesa pubblica. Altro è che un lavoro, fatto bene a Palermo, debba costare meno che a Milano».
La Lega vorrebbe governare Lombardia e Veneto. E per molti è partita la lotta con il Pdl sulle candidature per le prossime Regionali.
«Non vi è dubbio sia legittimo che la Lega possa avanzare le sue proposte, i propri nomi. Ma noi siamo una coalizione e dobbiamo preservare valori e uomini migliori. Credo sia difficile congedare le esperienze di Formigoni o Galan senza rischiare una caduta di credibilità. Lo dico da parlamentare lombardo: attenti a non farci del male da soli».
Capitolo alleanze. Il Pdl governa in Lombardia e in Veneto con l’Udc. Cosa succederà?
«Lì l’alleanza andava interrotta un anno e mezzo fa, quando si misero contro di noi alle Politiche. Ma farlo ora sarebbe sciocco: gli avremmo dato il potere, senza prenderci i voti. A questo punto, è giusto mantenere l’intesa anche in Campania, dove governiamo tre Province.

Il resto si vedrà».
E se l’Udc non intendesse rinnovare o trovare nuove intese?
«Conosco bene quell’elettorato e so che è orientato ad un’alleanza con noi. Non so cosa farà l’Udc, ma è scontato dove finiranno i voti».

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