«La cifra delle regionali in Veneto sarà quella della concorrenza»: parole dette dal ministro trevigiano Maurizio Sacconi dopo la scelta di candidare il leghista Luca Zaia a governatore. Una «legittima competizione». Che però presenta un’anomalia: i contendenti non sono maggioranza e opposizione ma due forze di maggioranza. Sacconi segnalava infatti che la contesa non avverrà tra Popolo della libertà e Partito democratico, ma tra Pdl e Lega. Anzi, Lega contro Pdl. Perché è il Carroccio che va all’assalto del partito di Silvio Berlusconi.
Il sorpasso. Lo scopo dell’esercito padano è sottaciuto (ma non troppo), un po’ per scaramanzia un po’ per non turbare il clima nella coalizione di governo, e tuttavia evidente. Sopravanzare gli azzurri al Nord. Diventare il primo partito nelle regioni più ricche e importanti del Paese. Obiettivo a portata di mano. «Se non usciamo da questa melassa inconcludente e ipocrita, la Lega alle regionali prenderà il 15 per cento», ha detto ieri il ministro Roberto Calderoli. Il 15 per cento nazionale significa il 35-40 per cento sopra il Po.
Prepariamoci dunque al vero spettacolo dei prossimi due mesi e mezzo, questi 80 giorni di campagna elettorale di qui al 21 marzo: la guerra fratricida che Pdl e Lega combatteranno per la supremazia al Nord. Liste separate sotto un candidato unico. Magari le forze in campo metteranno il silenziatore alle armi, ma non useranno proiettili a salve. Lo fa capire il governatore veneto uscente, Giancarlo Galan, berlusconiano della prima ora sacrificato sull’altare padano. Galan ha parlato di «dramma», di «tradimento». Ha già polemizzato con il suo ex assessore e annunciato che non farà la campagna elettorale per lui, ma «farò la battaglia per le preferenze chiedendo di votare persone che si sono comportate con lealtà e correttezza nei confronti miei e del partito che ho fondato in Veneto nel 1993». Il giudizio sul suo probabile successore è netto: «Mi ha deluso, assomiglia a Vendola».
Il Veneto è il teatro dello scontro più acceso. Regione già acquisita al centrodestra, ma dove il vincitore vero è tutto da stabilire. Le distanze sono risicatissime: alle politiche del 2008 appena ottomila voti separavano i due partiti e alle europee del 2009 il distacco era aumentato di poco (26mila suffragi, 29,3 per cento contro 28,4 a sfavore della Lega). Ma sarà battaglia anche in Lombardia, culla del Carroccio: Matteo Salvini dice oggi al Giornale di essere certo di conquistare il primato. Competizione apertissima pure in Piemonte, dove Umberto Bossi candida a governatore uno dei suoi uomini di punta, il capogruppo alla Camera Roberto Cota.
La Lega ha parecchie carte da giocare. È un partito radicato sul territorio, più presente del Pdl ancora ingabbiato nell’immagine di un movimento leggero che stenta ad andare oltre i gazebo. Non bisogna essere degli indovini per prevedere che la Lega avrà meno problemi del Pdl a formare le liste elettorali: tra i bossiani il «centralismo democratico» funziona a meraviglia, lo dimostra l’investitura di Zaia lanciata dal suo stesso avversario, il sindaco di Verona Flavio Tosi.
I litigi in casa del Carroccio non diventeranno mai di pubblico dominio, al contrario di quanto succede dalle parti del Pdl dove ogni posto in lista andrà soppesato, mediato tra ex forzisti, ex aennini, ex dei tanti partitini confluiti sotto l’egida di Berlusconi, e infine attribuito con il manuale Cencelli.
Al Nord il Pdl sconterà le provocazioni centrifughe di Gianfranco Fini, soprattutto quelle sugli immigrati. Le aperture del presidente della Camera sulla cittadinanza agli stranieri non sono piaciute e il rischio che una parte dell’elettorato di Alleanza nazionale si sposti dal Pdl alla Lega è concreto. Il Carroccio farà valere l’immagine di buon governo locale, sfruttando la popolarità di molti suoi sindaci. Esibirà i risultati dei suoi ministri: la sicurezza garantita da Maroni, la tutela del made in Italy perseguita da Zaia, i primi veri passi sulla strada del federalismo fiscale conquistati dalla coppia Bossi-Calderoli.
Il Senatùr farebbe bingo se prendesse due regioni come Veneto e Piemonte, in più trasformando la Lega nel primo partito del Nord. Sarebbe una svolta storica. Che viceversa per Silvio Berlusconi si tradurrebbe in uno smacco clamoroso e difficilmente rimediabile, visto che dopo le regionali di primavera le urne resteranno chiuse fino al 2013, conclusione della legislatura attuale. Quaranta mesi senza elezioni europee, regionali, politiche, a meno di un voto anticipato. Il 21 marzo deciderà dunque le sorti della legislatura.
È anche per questo che il Cavaliere non ha aspettato le scadenze imposte dai medici per mostrarsi in pubblico dopo l’aggressione di piazza Duomo.
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