La legge degli estremisti vince sull’islam moderato

Conosco e stimo Franco Cardini che, in sede storiografica, ha contribuito a smontare alcuni stereotipi, in particolare a proposito delle Crociate. Le dichiarazioni, però, rilasciate al Corriere della Sera del 5 luglio, a proposito di «Salviamo i cristiani», mi fanno pensare che Cardini sia fuori del mondo. Secondo lui si dà «un po’ troppo per scontato che i musulmani siano quasi tutti radicali e che i musulmani radicali siano tutti dei terroristi». Se la manifestazione di piazza Santi Apostoli fosse partita da questo presupposto, bene avrebbe fatto Cardini a non parteciparvi. Ma la situazione è grave per la ragione opposta. Tutti sanno che i musulmani radicali o fondamentalisti sono una quota esigua e che, anche in questa quota, pochi praticano di fatto il terrorismo. Il guaio è che questi pochi schiacciano gli altri. In quelle società la maggioranza non conta. In Iran la maggioranza è borghese, ma la guida del Paese è assolutistica e teocratica. I palestinesi desidererebbero quasi tutti, anche a Gaza, un modus vivendi con gli israeliani - da cui gli uni e gli altri trarrebbero vantaggi - ma a Gaza vige solo un modus necandi.
Se nei Paesi islamici regnasse la democrazia non si sentirebbe il bisogno di esportarvela con le armi. Ma in quei Paesi detta legge una teocrazia minoritaria, in nome di un testo, come il Corano, che dice tutto e il contrario di tutto. La simmetria dei rapporti può essere cercata con qualche frutto con i governi di quei Paesi costretti dalla diplomazia internazionale ad accettare il principio di reciprocità, base di qualsiasi rapporto umano; tenendo conto che questi stessi governi, anche se apparentemente forti, come quello dell’Arabia Saudita, sono esposti essi stessi al ricatto del fanatismo, dato che sulla negazione della reciprocità fondano essi stessi il proprio potere. Ma quanto al nostro rapporto con l’islam in genere l’unico nostro atteggiamento possibile è l’intransigenza, simmetrica alla posizione che l’islam assume rispetto all’Occidente (e non solo al cristianesimo).
Intransigenza è l’opposto del cosiddetto dialogo, che Cardini sembra desiderare quando auspica «una manifestazione più congressuale, in cui parlare, confrontarsi, e non una a cui aderire e basta». Parlare, confrontarsi si può, ad esempio, tra cristiani della Chiesa di Roma e cristiani della Chiesa ortodossa, per stabilire se lo Spirito Santo, come vogliono gli uni, proceda solo dal Padre o dal Padre e dal Figlio insieme (ab utroque), come vogliono gli altri. Le guerre su pretesti del genere, che pure ci sono state, sono per fortuna cose del passato. Ma con chi vuole la guerra ad ogni costo, e la fa anche al proprio interno, è inutile insistere su un «dialogo» che servirebbe, al più, a trattare la resa.

Perché ci sia la pace occorre volerla in due, ma perché ci sia la guerra basta che la voglia uno solo.

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