Legge elettorale, sinistra divisa Fini: il referendum? Un terremoto

Il leader An replica all’ipotesi dei Ds: «Sconvolgerebbe il sistema politico»

Max Reggiani

da Roma

«Il referendum sulla legge elettorale? Sarà un terremoto per il sistema politico». Gianfranco Fini condivide ed apprezza quanto sostenuto dal politologo Angelo Panebianco sull’idea della chiamata alle urne per la modifica del sistema elettorale che - se passasse - provocherebbe uno sconquasso azzerando i partiti minori e costringendo a grandi coalizioni. Fa sapere il presidente di An che è ormai tempo per procedere sulla strada del partito unico di centro-destra e fissa anzi una data: «Le europee del ’99. È un tempo congruo - chiarisce - per dar vita almeno alla federazione e, se possibile, ad una lista unitaria».
Pare invece non creder troppo, Fini, alla chiamata alla stanga ipotizzata da Veltroni per una costituente che si occupi, in primo luogo, proprio di legge elettorale. Intanto perché già valuta il referendum come una risposta. Ancora e soprattutto perché in realtà per procedere sulla via indicata dal sindaco di Roma, l’ex-ministro degli Esteri pone una pregiudiziale: «La caduta del governo Prodi è prioritaria. L’esecutivo - spiega - peggiore della storia repubblicana, ostaggio e prigioniero com’è delle peggiori utopie della sinistra radicale più vetero». Insomma, Fini inghiottirebbe anche le larghe intese («Tutto quello che può agevolare l’obiettivo è visto con favore da An...») se Prodi fosse spedito al più presto a casa. Ma mostra di non crederci troppo che a sinistra prevalga una simile tentazione. E così aspetta il referendum e la creazione di un partito di centro-destra chiarendo che una sua possibile leadership «non è in agenda» ma che comunque sarebbe assolutamente «legittima».
Ci vede abbastanza chiaro l’ex-ministro degli Esteri perché non appena si spargono le ipotesi di Veltroni e le considerazioni di Panebianco ecco che dalla miriade di partitini del centro-sinistra piovono veti, allarmi e inviti alla più grande cautela. «Il referendum? Un cavallo di Troia anti-Unione del centro-destra!» avverte il capogruppo dipietrista alla Camera Donadi. «Insistere sulla legge elettorale crea tensioni nell’Unione. E l’argomento non c’è nel programma unitario» gli fa eco il pari grado dell’Udeur Fabris. Mentre al Senato è il presidente del gruppo Verdi-Pdci Palermi a parlare di «dibattito peloso e in malafede dietro il quale l’unico obiettivo è quello di cancellare i partiti minori».
«La verità - rileva a questo punto l’azzurro Schifani - è che prima di ipotizzare il dialogo si dovrebbero metter d’accordo tra loro». E l’ex-ministro di An Adolfo Urso rincara la dose: «Veltroni dice cose sagge, ma a decidere l’agenda del Governo è Bertinotti...».
E il presidente della Camera non si tira certo indietro: dice che l’attuale normativa è orribile, ma che per cambiarla occorre largo consenso. E dunque «procedere con calma e tranquillità». Come a dire che ci vuole del tempo, e non le corse di Veltroni. In sostanza a sinistra Prc, Pdci, Verdi, Italia dei Valori e mastelliani fanno già muro, minacciando sconquassi (come del resto l’Udc a destra, come mostra Casini negando si possa agire con la scure-referendum «laddove occorrerebbe il bisturi»). Ma c’è chi teme che Ds e Margherita - alle prese con la fondazione del partito democratico - possano invece procedere per conto loro. Sarà così? Salvi, sinistra diessina, avverte che le cose a quel punto peggiorerebbero.

Ma intanto Prodi (che non vede «disponibilità» del centro-destra a un discorso comune sulle regole) si limita ad osservare che comunque sia «la legge elettorale va certamente cambiata». E come lui si esprimono tanto Parisi che Franceschini, il quale ultimo nota che «si tratta di un impegno della maggioranza che va mantenuto».

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