Leggereste un libro fatto solo di domande?

Saresti disposto a leggere un libro composto esclusivamente da domande? E nel caso che lo fossi, non ritieni che investire 14,50 euro in un libro del genere, per di più intitolato Interrogative mood, sia un atto di coraggio superiore alle tue forze? Pensi davvero di reggere 138 pagine di domande per poi scoprire - giunto alla fine - che non riesci a ritrovare un nesso logico, o anche solo letterario, tra una e l’altra? Non ti viene il dubbio che l’autore, l’americano Padgett Powell, si sia soltanto inventato qualcosa di editorialmente curioso, e che qualcuno ci sia cascato? A partire da Guanda, che lo pubblica in Italia? Ti sei mai fermato a riflettere sul fatto che esista una differenza tra il concetto di «furbizia» e quello di «originalità»? E se anche non ti fossi mai posto il dubbio, non pensi che già dopo la seconda pagina potresti finire per trovare la cosa stucchevole? O noiosa? O presuntuosa? E se ti facessero osservare che, però, a nessuno prima era mai venuto in mente una cosa del genere, non potresti legittimamente rispondere che, se è per questo, a nessuno è mai venuto neppure in mente di pubblicare un libro con tutte le parole stampate capovolte, e non per questo - nel caso qualcuno lo pubblicasse - si debba ritenerlo per forza «originale»? A proposito, hai mai letto qualcosa di Raymond Queneau? E se lo hai fatto, accetteresti un paragone tra, ad esempio, Zazie nel metro e Interrogative mood? E secondo te, perché qualcuno lo ha fatto? Solo per vendere meglio il libro di Powell? Ma perché il marketing editoriale non conosce un minimo di pudore? Detto questo, conosci qualche editor ancora disposto a usare l’espressione «un divertissement letterario» in un risvolto di copertina? E la circostanza che l’edizione italiana riporti sotto il titolo una frase elogiativa del libro firmata da Jonathan Safran Foer, non potrebbe costituire una buona occasione per riconsiderare il tuo giudizio su Ogni cosa è illuminata, ammettendo che, forse, era davvero una grande str***ta? È corretto affermare che difficilmente la gente si pone domande del tipo «Sai dire di primo acchito se un ippopotamo suda?» o «Qual è la tua posizione sull’importanza di rastrellare il cortile?», e ancora meno è interessata a un’eventuale risposta? E soprattutto, che porre domande sia più importante del dare risposte, non è una cosa

che, in circa ventimila anni di linguaggio umano e duemilacinquecento di storia della filosofia, abbiamo sentito ripetere un po’ troppo volte per accettarla come pretesto per leggere un libro del genere? Davvero lo leggerai?

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