Leggete un solo libro? Che sia questo

Esce il secondo volume dedicato alla famosa rivista. Una Bibbia della letteratura degli ultimi sessant’anni. C’è tutto: racconti, saggi, interviste e poesie. Con pezzi rari di Roth, Lowry, Carver, Wallace e altri giganti

Leggete un solo libro? Che sia questo

I dati più recenti forniti dall’Associazione Italiana Editori dicono che il 55% degli italiani non legge neppure un libro all’anno. E dicono che solo il 10% dei lettori si può definire «abituale», cioè che legge uno o più libri al mese. Tutti gli altri ne leggono massimo uno all’anno. Bene. Questo articolo si rivolge a loro. In questo senso: se una persona, per mancanza di tempo o di voglia, si concede un solo libro all’anno, allora è necessario che lo scelga con molta attenzione. Leggere poco va bene, leggere male no. Potendo concedersi un’unica occasione, prendere la prima cosa che ti capita in mano in autogrill o guardando Che tempo che fa, è uno spreco.

Ecco allora il consiglio che ci sentiamo di poter dare a tutti i «lettori deboli» (sicuri peraltro di accontentare anche i «lettori forti»): compratevi il nuovo volume dell’antologia dedicata alla mitica The Paris Review (The Paris Review. Il Libro, Fandango, pagg. 1112, euro 29,50) e poi iniziate a leggerlo come meglio credete: minuziosamente dalla prima all’ultima pagina, freneticamente saltando qua e là, oppure scegliendo per temi (per esempio: «Cuori infranti», «Follia», «Sesso», «Guerra», «Orrori», «Viaggi», «Morte», «Dio»... ), o spulciando l’indice degli autori (da Chinua Achebe a Charles Wright, passando per Atwood, Borges, Burroughs, Faulkner, Heaney, Márquez, Naipaul e Tennessee Williams... ), o aprendo a caso, come la Bibbia.

Se The Paris Review è la «Bibbia» della letteratura contemporanea, allora la serie di otto volumi antologici che Fandango sta traducendo dall’edizione americana (questo è il secondo, il primo da noi è uscito l’estate scorsa), è la «Bibbia» della Paris Review. Tutta la «verità» del Novecento letterario è qui dentro. Quello che c’è in più, come i libri della biblioteca di Alessandria rispetto al Corano per gli arabi che la distrussero, o è dannoso o è inutile.

Come recita il chilometrico e invitante sottotitolo, l’antologia contiene scritti relativi a «Sgomento, Pazzia, Sesso, Amore, Tradimento, Estranei, Intossicazione, Guerra, Capriccio, Orrore, Dio, Morte, Cena, Baseball, Viaggio, Scrittura, e qualsiasi altra cosa esista al mondo dal 1953» (che non è poco). Fondata appunto nel 1953, a Parigi, da un gruppo di giovani intellettuali americani che nella capitale francese erano «in cerca di Hemingway», The Paris Review pubblica ormai da quasi sessant’anni il meglio della narrativa e della poesia mondiale. Come scrisse nel primo numero della rivista William Styron: «Penso che The Paris Review dovrebbe accogliere questa gente nelle sue pagine: i bravi scrittori e i bravi poeti, i non batteristi e coloro che non tirano l’acqua al proprio mulino. Finché sono bravi». Esattamente quello che ha sempre fatto il giornale, sia a Parigi sia a New York, dove traslocò negli anni Settanta.

La rivista pubblicava, e pubblica, di tutto (ma non tutto), e infatti di tutto si trova in questa straordinaria antologia: racconti, estratti di romanzo, poesie, saggi, reportage e interviste. Soprattutto interviste, tra le più belle in assoluto della storia del giornalismo culturale, ossia quelle che costituiscono la serie «The Art of Fiction» dove i giganti della scrittura raccontano cosa pensano di se stessi, dei loro libri, di quelli degli altri, della letteratura e dell’universo, in generale.

Ed ecco allora un assaggio di quello che il lettore potrà trovare in quello che, pur essendo solo marzo, è già «il libro» del 2010. In queste oltre mille pagine, ad esempio, c’è Ted Hughes che descrive - siamo nel 1995 - il suo rapporto con Sylvia Plath: «Quando ci siamo incontrati la mia scrittura, come la sua, ha lasciato la vecchia strada e ha preso a volteggiare e a esplorare Presto le nostre menti divennero due parti di un’unica operazione. Facevamo tanti sogni a metà o complementari. Avevamo una telepatia intrusiva». C’è un estratto Nel paese delle ultime cose di Paul Auster pubblicato nel 1984, tre anni prima che il romanzo uscisse negli Stati Uniti (in Italia arrivò nel 1996). C’è un surreale e pazzesco racconto di Donald Barthelme (1931-89), Alice, del 1968. C’è la stesura iniziale, datata 1996, del primo capitolo del romanzo Le correzioni di Jonathan Franzen. C’è un racconto di Jeffrey Eugenides diventato poi il primo capitolo del suo Le vergini suicide. C’è un pezzo dell’intervista a Vladimir Nabokov uscita nel numero 41 del 1967, in cui lo scrittore spiega qual è, dal suo punto di vista, il «senso di immoralità» nella relazione tra Humbert Humbert e Lolita.

E c’è il premio Nobel Toni Morrison che racconta (l’intervista è del ’93) perché gli scrittori fanno sempre tanta fatica a scrivere di sesso. Poi c’è l’indimenticabile incipit di Le mille luci di New York di Jay McInerney pubblicato dalla rivista nel 1982 col titolo Sono le sei del mattino, hai idea di dove sei? e poi diventato il romanzo che è diventato nel 1984. Ancora: c’è una pagina di Jim entra nel campo di basket di Jim Carroll, del 1970, otto anni prima della pubblicazione del romanzo. C’è una poesia terribile sulla guerra di Ha Jin, Discorso del soldato morto, e una magnifica su Dio di Robert Bly, del 1975: Il respiro. C’è un divertentissimo spezzone di intervista sul giornalismo di Hunter S. Thompson di qualche anno fa. E c’è un lungo racconto di Philip Roth del 1958, La conversione degli ebrei; un brano di Jack Kerouac del ’55 poi inglobato in On the road (che è del ’57); e un pezzo davvero irresistibile sull’arte di viaggiare di Umberto Eco, del 1994 (gli altri due italiani antologizzati sono Italo Calvino e Primo Levi). Ci sono i narratori Raymond Carver e David Foster Wallace, e i poeti Les Murray e Frank O’Hara. E c’è soprattutto il gigante dei giganti della letteratura, Malcolm Lowry (1909-57), col racconto Caustico lunare, anno 1963.

Come scrive il direttore storico della Paris Review George Plimpton nell’introduzione di questo libro-colosso (è una pagina che risale al 2003, l’anno della sua morte): «Ogni anno arrivano in redazione oltre 20.

000 manoscritti, che vengono letti con cura diligente e nella speranza che magari questo qui spicchi il volo sopra gli altri e arrivi agli editori». La rivista ha sempre pubblicato il meglio di quanto ha avuto per le mani, che era il meglio di quanto la letteratura produceva in quel momento. E questa antologia è il meglio della rivista. Figuratevi voi.

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