a lezione dei grandi maestri bresciani, l'ammirazione incondizionata per Lorenzo Lotto negli anni della sua lunga stagione bergamasca, sono certamente determinanti per la formazione e la maturazione della visione di Giovan Battista Moroni. Inizia la sua attività pittorica nella bottega del Moretto che resterà il modello prevalente per la sua opera religiosa, contaminazione di spirito devozionale e di realismo, come si vede nel Devoto in adorazione della Madonna e del Bambino o nel Devoto in contemplazione del battesimo di Cristo, singolari composizioni che coniugano catechismo e spirito d'osservazione sulla realtà, quello che lo porterà più grande di ogni altro, nella ritrattistica, fino all'elaborazione che è il Sarto, ora alla National Gallery di Londra. Un ritratto in azione. Così appare, nell'attitudine di tagliare una stoffa, il sarto che colpì Marco Boschini nella sua Carta del navegar pitoresco: «Tuttavia quel Moron, quel Bergamasco- per esser gran pittore bravo e valente, - el vogio nominar seguramente- che de bona nomea l'ha pieno el tasco;- ghé dei ritrat, ma in particolar quel di un sarto si belo, e si ben fatto- che'l parla più de quel si sa avvocato,- l'ha in man la forte, e vu'l vedè a tagiar».
A Bergamo Moroni lavora per tutti gli anni Cinquanta. Negli anni Sessanta la sua fortuna declina per le difficoltà della famiglia Albani e per la contrarietà della curia locale, che gli inibisce le committenze dell'aristocrazia cittadina, così Moroni ritrae, con costante lucidità, personaggi della provincia bergamasca anche di modesta estrazione sociale dal comandante di milizie mercenarie Mario Benvenuti, al mercante Paolo Venuti di Albino, al sarto, all'agricoltore suo vicino di casa; e produce pale per parrocchiali di piccoli borghi. In queste alterne fortune Moroni conserva una capacità di concentrazione sulla condizione sociale dei suoi ritrattati, sulla moda, in un campionario di eleganze senza fine, facendo sentire la diversa consistenza delle stoffe come soltanto il Moretto aveva saputo fare: e penetrando nell'interiorità spesso fragile e turbata. È il caso del mirabile Cavaliere in Rosa, tra i grandi capolavori della ritrattistica di tutti i tempi. Moroni ritrae Gian Gerolamo Grumelli, marito in seconde nozze di Isotta Brembati, cui pure dedica un notevole ritratto. Forse a questo matrimonio si deve l'iscrizione sotto il bassorilievo a destra «mass el cagnero que el primero» (meglio il secondo, o l'ultimo, che il primo).
Se pensiamo ai ritratti di Lorenzo Lotto, qui siamo a un potenziamento di verità che indica lo spirito di un'epoca non meno del Cortegiano di Baldassar Castiglione. Alle spalle del cavaliere in rosa, sopra una architettura in rovina, l'edera si arrampica nella nicchia sopra i resti di una statua frammentaria. Simbologia meno interessante che il puro frammento di realtà nel nitido taglio delle pietre.
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