Medicina

Lenti multifocali per ridare luce al cristallino

Lenti multifocali per ridare  luce al cristallino

Mariella Passerini

Dopo i 45-50 anni, è naturale un progressivo degrado del cristallino, con conseguente peggioramento della visione da vicino. Oggi la chirurgia refrattiva, grazie alle lenti intraoculari di ultima generazione, è finalmente in grado di sopperire a questo inconveniente. «In termini tecnici si chiamano lenti intraoculari diffrattive apodizzate (Acrysof ReStor)» spiega il dottor Edoardo Ligabue, chirurgo oculista a Milano. «Le Acrysof Restor sono lenti multifocali di nuova concezione, in grado di dividere i fasci luminosi che entrano nell’occhio e di proiettarli sulla retina in modo da creare due distinti punti di messa a fuoco: uno per la lettura da vicino e uno per la visione a distanza», spiega il chirurgo oculista. «Sarà il cervello, di volta in volta, a selezionare quale dei due punti utilizzare, scartando quello che al momento non serve».
Le nuove intraoculari sono state concepite inizialmente come lenti sostitutive per i pazienti affetti da cataratta, una patologia che oggi, purtroppo, tende a colpire sempre più precocemente, anche al di sotto dei 60 anni: «In questo caso, il cristallino va incontro, oltre che al fisiologico irrigidimento, anche ad una progressiva opacizzazione, che ne rende necessaria l’asportazione», spiega il dottor Ligabue. «Con una metodica chiamata facoemulsificazione, si procede alla completa evacuazione dei tessuti alterati e alla perfetta pulizia della capsula contenente il cristallino. La capsula viene poi utilizzata per ospitare la nuova lente artificiale, che viene inserita attraverso la medesima incisione praticata nel bulbo oculare per asportare il cristallino».
I soddisfacenti risultati ottenuti con questa metodica hanno spinto ad estendere l’utilizzo delle nuove lenti intraoculari anche a tutti quei pazienti che non hanno un cristallino opacizzato, ma, già affetti da miopia o altri disturbi visivi, col passare del tempo vanno incontro anche a presbiopia, con conseguente crescente difficoltà nella visione da vicino: «In questi casi l’intervento (in termini tecnici, lesenctomia refrattiva) è molto più semplice e sicuro. I tessuti da asportare, infatti, sono meno compromessi. È sufficiente un getto d’acqua per “lavare via” il materiale del cristallino e far posto quindi alla nuova lente». Effettuata in anestesia locale, la procedura richiede 10-12 minuti per occhio. Lo sbendaggio e l’attività visiva si hanno già dal giorno seguente l’intervento.
Il vantaggio è evidente: la nitidezza della visione viene assicurata senza il ricorso a occhiali varifocali o progressivi, che spesso costringono la persona a continui movimenti della testa, del collo e degli occhi prima di individuare la zona della lente che consente la visione migliore. La stragrande maggioranza dei pazienti non utilizza più occhiali per nessuna attività, mentre ad una piccolissima percentuale, che magari svolge un lavoro al videoterminale, viene consigliata una lente da riposo. «Una volta terminato un breve periodo di adattamento, durante il quale il cervello si abitua alle funzioni della lente, in genere non ci sono problemi», osserva lo specialista. «Una particolare tecnica di lavorazione della superficie della lente, utilizzata anche per i microscopi di precisione e per i telescopi spaziali, fa sì che la luce venga utilizzata in maniera ottimale.

Grazie alle proprietà ottiche della parte periferica della superficie della lente, inoltre, vengono ridotti al minimo gli aloni di luce che si produrrebbero nelle ore notturne, quando la pupilla subisce il naturale processo di dilatazione».

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