Diavolo dun Longanesi. È da quando ha lasciato gli affanni di questo mondo e le magagne di questo maledetto belpaese - e pochi come lui lhanno così tanto amato e così tanto odiato - che apologeti e detrattori, vecchi compagni davventura e implacabili nemici, cercano di spiegarci chi fu davvero Leo Longanesi, uno che diceva: «Il contrario di quel che dico mi seduce come un mondo favoloso». In realtà spiegare chi fu Leo Longanesi è impossibile, perché fu tutto e il suo contrario: intellettualmente anarchico ma politicamente conservatore, il più convinto dei mussoliniani eppure inimitabile frondeur, superfascista e disfattista spietato, anticonformista e borghese, un incredibile catalizzatore di idee e uomini e nello stesso tempo un individualista metodologico che non voleva stare con nessuno. E artisticamente? Altrettanto impossibile ingabbiarlo: scrittore, giornalista, editore, polemista, grafico, pittore, regista (nel 43 gira Dieci minuti di vita, film in cinque episodi interrotto allannuncio dellarmistizio), illustratore, pubblicitario (sua la campagna della Vespa nel 55), talent scout (lanciò come romanzieri, tanto per dirne due, Dino Buzzati e Vitaliano Brancati senza contare tutti gli stranieri che pubblicò)...
Fu stroncato da un infarto, troppo giovane, il 27 settembre 1957, nel suo studio milanese di via Bigli, altrimenti chissà quante altre imprese avrebbe messo in piedi. Iniziò prestissimo: a 21 fondò LItaliano, foglio frondista artistico-letterario con forti accenti da «strapaese», poi arrivò Omnibus, nel 37, il primo settimanale italiano a rotocalco, quindi le collaborazioni con i grandi editori (basti citare la sua collana «Il sofà delle Muse» per Rizzoli), la creazione della casa editrice che ancora oggi porta il suo nome, la rivista Il Libraio e infine il suo capolavoro: Il Borghese, fondato nel 1950 (nel cast, Baldacci, Missiroli, Spadolini, Prezzolini, Henry Furst, naturalmente Montanelli e parecchi altri). E in mezzo centinaia di libri (suoi e degli altri), mostre, disegni, articoli...
Tra le mille avventure di Longanesi, così come tra i suoi celebri aforismi, è difficile scegliere la più riuscita. Andrea Ungari, autore del libro Un conservatore scomodo. Leo Longanesi dal fascismo alla Repubblica (Le Lettere, pagg. 114, euro 12,50) - che sarà presentato da Pierluigi Battista e Roberto Chiarini martedì 12 giugno, alle 18, al Museo di Storia contemporanea di via SantAndrea 6 - ha deciso di mettere a fuoco un momento particolare: il ruolo sul piano giornalistico ed editoriale di questo strano (arci)italiano nellimmediato secondo dopoguerra, nel passaggio dallesperienza fascista a quella detta «anti anti-fascista». E in questo senso, appena dopo il suo arrivo a Milano agli inizi del 46 (quando scriveva al fidato collaboratore Giovanni Ansaldo: «In questi ultimi tempi ho capito che la miglior cosa è non fare nulla che mi leghi alla politica... Ho già visto molti di quelli che ci volevano fucilati venire a chiedere di pubblicare un libro... La nuova classe dirigente è talmente cretina»), due sono i colpi di genio di Leo Longanesi: il primo è la casa editrice Longanesi&C., fondata il 1° febbraio 1946 grazie ai capitali dellindustriale Giovanni Monti con sede a Milano in via Borghetto 5, alla quale diede subito la sua inconfondibile impronta e che divenne presto il punto di riferimento culturale di quellItalia nostalgica e conservatrice che aveva votato per la Monarchia nel 46, per la Dc nel 48 e che avrebbe determinato lascesa della Destra negli anni Cinquanta e di cui Il Borghese - contraltare del Mondo di Pannunzio - a partire dal 1950 sarebbe stato lapprodo ulteriore; il secondo è lideazione del mensile Il Libraio, che sulla carta doveva essere un «semplice» house organ della casa editrice, il bollettino insomma che informava delle novità in uscita, e che invece - poiché quando cè di mezzo Longanesi nulla è «semplice» - grazie agli articoli, le inchieste, lattenzione dedicata al mondo del libro e le firme prestigiose che Longanesi riuscì a coinvolgere, assunse un taglio intellettual-politico e un tono controcorrente che ne fecero una sorta di prosecuzione di Omnibus e forse addirittura unanticipazione del Borghese.
Sul suo taccuino, alla data del 16 maggio del 57, quattro mesi prima della morte, annotò: «È un peccato vivere, quando tanti elogi funebri ci attendono».
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