"Le femmine della famiglia Accoto erano impastate con la rabbia". E, di tutte, Teresa, la protagonista dell'ultimo romanzo di Giuseppina Torregrossa, è la peggiore. L'incipit di Corta è la memoria del cuore (Mondadori, pagg. 248, euro 19,50) apre un secolo di vite femminili segnate dal rancore, dalla resistenza e da una tenerezza istintuale, rincorsa e sempre perduta. Genealogia delle donne, memoria domestica, durezza che zittisce, come un bastone davanti al muso: con questo nuovo libro Torregrossa torna ai sentimenti e ai risentimenti familiari, sabbie mobili in cui i personaggi sprofondano, per riemergere fatti di ferro e ghiaccio, pronti ad affrontare le epoche e i cambiamenti sociali armati di una sola parola d'ordine. Sopravvivenza.
Con una lingua limpida, precisa, priva di compiacimenti, Torregrossa, palermitana, classe 1956, una carriera che l'ha vista, oltre che scrittrice e drammaturga, ginecologa, volontaria e in tempi recenti candidata politica regionale, traccia il percorso netto di Teresa Accoto, figlia della Sicilia dei primi del Novecento, intelligente, determinata, laureata in Giurisprudenza quando farlo per una donna era ancora eccezionale e perciò destinata a sbandierare quella laurea, invece che per gioia, per difesa, di fronte al maresciallo che la interroga come testimone come in faccia a chi le rimprovera le scelte sentimentali sbagliate. Teresa possiede quello che chiama "l'occhio pesante", dote di tutte le donne della sua famiglia: una capacità a mezzo tra la telepatia e l'anatema, che abilita a leggere gli altri con schiacciante chiarezza, che consente "con uno sguardo di uccidere un toro", un automatismo pronto a colpire gatti, cameriere, affetti più cari. Un talento che non protegge ma isola, anche nei confronti della figlia maggiore, Elena, che rifiuta al punto da non pronunciarne il nome e provocare una ferita insanabile.
La vicenda segue il percorso della famiglia Accoto dalla provincia siciliana, che si fa da subito sostanza esistenziale, logica e modo di stare al mondo, alla Roma del boom economico e poi al resto della storia d'Italia, affrontando insidie e minacce di chi ha raggiunto una posizione, Brigate rosse comprese. Gli Accoto passano attraverso città e progresso come protetti da uno schermo indeformabile. Un secolo di trasformazioni vede gli uomini della famiglia rimanere separati dall'universo di cura e potere femminile, Luigi guardare prima la fidanzata e poi la moglie Teresa con un romanticismo sproporzionato e destinato al tradimento e la figlia Elena con l'inadeguatezza di chi sa amare e compatire, ma non può fare a meno di giudicare. Madre e figlia si rincorrono per la vita, testarde sempre e ferite sempre, incontrandosi forse solo in fotografia: quando dalle foto la madre la guarda severa, Elena impallidisce, si annulla, balbetta. L'amore resta orfano, incapace di nutrire una giovinezza d'animo, il desiderio non evolve e rimane ridicolo come apparirebbe a un preadolescente, roba da romanzetto rosa. Teresa ingrigisce presto, condannata, anche nelle ascese, a un bisogno mai sfogato di verità nei legami: non c'è infine rimedio "alla maledizione di mamma".
Colta, lettrice, consapevole, Teresa si esprime da giovane in una lingua forbita, ironica, inedita per la sua generazione. Quella lingua e quel distacco la rappresentano al punto che quando si smargina l'identità, quando la vecchiaia la aggredisce ("La lingua è un muscolo come un altro, dovresti esercitarla", le dice la figlia), Teresa perde persino quella tenerezza che i nipoti le avevano risvegliato e con questa la compostezza del lessico: tutto si contamina di dialetto, si sporca di parolacce, la superiorità intellettuale si fa vendetta vuota (superati i novant'anni, "Tolstoj è uno scemo e Dostoevskij uno che ti prende per il culo"), fino a ridursi a suoni quando la memoria svanisce e il rifiuto del deambulatore diventa ostentazione del decadimento.
Un romanzo consapevole, mai indulgente, tanto più prezioso perché privo di catarsi, che rilancia la sfida dell'essere umano come enigma irrisolvibile, persino e proprio nella "microstoria domestica".
A meno che non ci si affidi a una memoria corta, fatta di istanti che non possiamo né dobbiamo capitalizzare, una memoria di cui alle donne tocca custodire il codice, e richiamarlo sempre e ancora, in una universale eco senza fine, ogni giorno della vita, fino cento anni e oltre.