Roma - Gianfranco Fini ha dato un consiglio ai suoi «colonnelli» che vedevano comparire e scomparire i loro nomi dall’elenco del toto-ministri. «Fate come me, non leggete i giornali». E Silvio Berlusconi ai suoi, prima di partire per la Sardegna: «Mai viste tante auto-candidature».
Il presidente del Consiglio in pectore è dibattuto fra due decisioni: chiudere la lista al più presto; anche con qualche nome di bandiera. Oppure, mettere a punto la vera lista dei ministri subito dopo aver ricevuto l’incarico; tenendo bloccate tre o quattro caselle. Ed in tal modo, avere margini d’azione legati alle scelte che verranno fatte da Formigoni per la Regione Lombardia.
In questa situazione, tradizionale ad ogni formazione di un nuovo governo, si innesca il «caso Interni». Una poltrona per due o forse tre candidati. La Lega vorrebbe Roberto Maroni al Viminale. Berlusconi non sarebbe esattamente della stessa idea. Pur avendo già nominato Maroni all’Interno, ora preferirebbe in quel posto Claudio Scajola oppure Gianni Letta, che assumerebbe comunque anche il ruolo di vicepremier. E che sarebbe coadiuvato a Palazzo Chigi da un tecnico - conoscitore della macchina amministrativa e di Palazzo Chigi - nel ruolo di sottosegretario alla presidenza del Consiglio.
Il disegno della Lega sarebbe condiviso da Alleanza nazionale. Per un motivo molto semplice: blinderebbe i suoi uomini nelle caselle già designate (Gasparri capogruppo del Pdl al Senato, Matteoli alle Infrastrutture, La Russa alla Difesa, la Bongiorno alla Giustizia, Fini alla presidenza della Camera); in più, verrebbe tenuta una casella «di bandiera» per Gianni Alemanno, qualora Rutelli dovesse vincere il ballottaggio di domenica 27.
Per casella «di bandiera» s’intende la posizione ministeriale assegnata - sulla carta - ad un esponente politico, pronto a farsi da parte per un altro: nel qual caso, Alemanno. Il problema è che il candidato sindaco del Pdl a Roma punterebbe al ministero del Lavoro; dicastero «pesante», che ha al suo interno anche la Salute e le Politiche sociali. In un primo momento, si era ipotizzato un ritorno di Maroni al Lavoro. Ora, però, sembra che se non dovesse ottenere l’Interno, si orienterebbe sulle Attività produttive, che controllano anche le Comunicazioni. E nello stesso ministero potrebbe entrare anche Renato Brunetta per un posto da viceministro; magari con le deleghe sullo Sviluppo e coesione (il vecchio ministero del Mezzogiorno), sul quale avrebbe messo gli occhi - si dice - anche Gianfranco Miccichè.
Sul ministero del Lavoro la comune strategia di An e Lega si allontana. Sembra che Bossi abbia chiesto a Berlusconi di tornare a separare Welfare da Salute; ed abbia chiesto al Cavaliere di assegnare il primo a Rosy Mauro. In tal caso, alla Salute punterebbe Cesare Cursi di An. Soluzione sulla quale il presidente del Consiglio in pectore non si vuole pronunciare prima del ballottaggio per il sindaco di Roma.
Le caselle blindate per Forza Italia sono Esteri (Frattini) ed Economia (Tremonti). Restano alte le quotazioni di Bonaiuti ai Beni culturali così come quelle di Vito ai rapporti con il Parlamento. Tutto da legare alla partita della regione Lombardia il ruolo di Formigoni all’Istruzione (con ipotetica staffetta a fine mandato Pirellone con un esponente della Lega, si fa il nome di Castelli). Mentre è in ballottaggio fra due donne (Poli Bortone e Prestigiacomo) la poltrona di ministro per le Politiche comunitarie. Certo, invece, un ruolo di primo piano (vice ministro?) per Michela Brambilla all’Ambiente. Se così fosse, salirebbero le quotazioni della Carfagna alle Pari opportunità.
Sul piatto del totonomine ancora tutto da definire il ruolo dei viceministri e sottosegretari.
Una cosa è certa. Al momento, le forze della prossima maggioranza stanno giocando solo il primo tempo del totoministri. Il secondo scatterà dopo il ballottaggio per il sindaco di Roma.
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