Fondazione Carige, il giorno dopo: si prefigurano azioni giudiziarie da parte del professor Vincenzo Lorenzelli, presidente dimissionario dallente per protesta contro i metodi seguiti nella designazione dei membri del nuovo consiglio di amministrazione. Nel frattempo, spunta una lettera dei soci francesi della Cnce, listituto di credito francese in possesso del 15 per cento circa di Banca Carige che è la «creatura» più ambita del gruppo creditizio.
Nella corrispondenza, i soci di Cnce avrebbero dato atto a Lorenzelli della sua disponibilità nei loro confronti. Una serie di considerazioni di pura cortesia formale seguite a un viaggio di lavoro dello stesso Lorenzelli in Francia. Eppure, anche questo avrebbe avuto un peso nella vicenda che si è conclusa laltro ieri in maniera traumatica per il presidente. Secondo alcune interpretazioni, sarebbe stato infatti proprio il timore di un aumento di peso di Cnce allinterno della banca a consigliare ai protagonisti dellaccordo trasversale fra enti e istituzioni liguri la blindatura del nuovo consiglio di amministrazione. Con lobiettivo preciso di mantenere saldamente il controllo della Fondazione e della sua partecipata (di cui la Fondazione detiene il 44 per cento delle quote oltre a un 10 per cento di azioni risparmio convertibili).
Nel frattempo, anche ieri si sono avvicendati i commenti di esponenti delleconomia e della politica sulla vicenda. Non proprio a favore del dimissionario. A cominciare dal capogruppo di Rifondazione comunista in Regione, Marco Nesci, secondo cui «è positivo l'allontanamento dalla Fondazione Carige di Lorenzelli, ma non è del tutto positivo il metodo usato per il rinnovo del consiglio di amministrazione. Non ci piace - aggiunge Nesci - questo metodo, e in particolare questo accordo bipartisan che prelude all'ennesima spartizione di poltrone. È invece un bene che si sia verificato l'allontanamento di Lorenzelli, e che ci sia stato così un ridimensionamento del condizionamento dell'Opus Dei». Più prudente Francesco Bruzzone, segretario della Lega nord Liguria: «Non abbiamo mai avuto rappresentanti allinterno del consiglio, ora possiamo solo sperare che non ci siano contraccolpi negativi per la comunità ligure».
Intervengono sulla vicenda anche Michele De Lucia e Maria Gigliola Toniollo, entrambi componenti della direzione nazionale di Radicali Italiani, e affermano: «Ci troviamo di fronte a un caso paradigmatico di resa delle istituzioni, non solo, di autoconsegna (e di consegna della Fondazione Carige, come avviene già per quasi tutte le fondazioni bancarie, grandi e piccole, affollate in gran numero da don e monsignori, certo super partes) a Santa Romana Chiesa». I due radicali sottolineano «la riproposizione delle questioni dei conflitti di interesse, della mancata effettiva separazione tra banche e fondazioni e delle false riforme compiute negli anni passati. Eppure - concludono - Oltretevere avrebbero dovuto imparare sin dai tempi di Marcinkus che è bene star lontani dalle banche». Dal canto suo, il presidente di Confindustria Genova, Marco Bisagno, arriva ad auspicare un ingresso dellassociazione negli organi della Fondazione. «Le aziende nostre associate contano 120-150mila dipendenti - spiega Bisagno a margine della presentazione dell'indagine congiunturale relativa al secondo semestre 2006 -. Siamo una presenza importante sul territorio e la nostra presenza potrebbe essere utile all'interno dell'ente. In questo senso, potrebbe essere il responsabile della nostra sezione Finanza a rappresentarci in un organo della Fondazione». Tutto questo, nella convinzione che il mondo delle imprese debba essere rappresentato in maniera istituzionale nel consiglio di amministrazione della Fondazione Carige e di altre fondazioni. Il presidente degli imprenditori non entra nel merito delle ultime vicende dellistituto e sottolinea che la sua proposta ha carattere generale.
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