Politica

Lettera a Rita

Ho scritto una lettera a Rita Borsellino. Essa segue una polemica per alcune mie osservazioni sulla «questione morale». L'intollerabile pressione giornalistica, a prevedibile sostegno della pretestuosa inchiesta giudiziaria su Totò Cuffaro, avrebbe potuto determinare una rassegnata e debole scelta di rinuncia. Ma no: Cuffaro non ha paura. Pronto a dimettersi dal Senato, come già dal Parlamento Europeo, si candida alla presidenza della Regione Sicilia. Non accetta di essere scalzato da una inchiesta senza fondamento, come già in passato furono quelle su Turi Lombardo, su Andreotti, su Musotto, su Carnevale, su padre Frititta, su Calogero Mannino, sullo stesso Berlusconi e, in Calabria, anche su me e Tiziana Maiolo. Non fossero altre, proprio queste indagini su due totalmente estranei e ignari, solo perché candidati in Calabria, mi danno la misura dell'approssimazione e della pressappocaggine di inchieste giudiziarie che hanno come solo fine e obiettivo azzoppare e infamare l'avversario, che può facilmente cadere ed essere messo fuori gioco. Il giudizio dell'opinione pubblica è più severo di un processo. A chiunque sembrarono mafiosi Andreotti e Carnevale.
Per converso, la beatificazione, fino alla retorica del santino, investe non soltanto coloro che, come eroi, pagarono con il sangue le loro idee e il loro impegno, ma anche parenti e amici, mogli e sorelle che, con il dolore, ne portano il nome. Quando, ad essi, immancabilmente a sinistra, tocchi di essere candidati, la gloria del morto si riflette sul loro nome come un’ombra protettiva, rendendoli invulnerabili e titolari di virtù derivate. Ma qual è la moralità di chi li candida? Ed è per risarcirli o per cinismo? E non c'è l'intenzione di trascinare nella contesa elettorale il morto, che non può prendere posizione ma solo subirla, per interpretazione e volontà d'altri? Io sento una più alta e combattuta moralità in chi non si lascia intimidire e tenta di resistere alle infamie. Così ho scritto alla immacolata candidata siciliana: «Gentile Signora Borsellino, le avrei volentieri scritto privatamente per delicatezza; ma il suo ruolo pubblico, ormai, e le sue dichiarazioni sulle mie parole, che lei non ha ascoltato, mi impongono di risponderle coram populo. E, credo, utilmente. Certo (nel passato e anche oggi) se occorresse, io ho spesso urlato, mi sono molto indignato, e ho anche insultato. Ma non ho mai "farneticato". Le sue osservazioni sulle mie dichiarazioni alla stampa, che lei non ha sentito e che erano dialetticamente articolate, sono improprie, inesatte e ingenerose, oltre che irriguardose. Lei sembra aver affermato: "sono le solite farneticazioni di Sgarbi". Non so a cosa si riferisca, ma io, anche nei momenti di più accese polemiche, ho difeso principi, uno dei quali - il rispetto della persona - è stato mortificato dalla parte politica che la sostiene. Mi riferisco all'esclusione dalle liste di Turi Lombardo, incriminato, arrestato e poi assolto, e che invece di essere risarcito viene oggi di nuovo umiliato. Il suo illustre fratello conosceva la prudenza e la saggezza che devono guidare un processo giusto in cui non sia data soddisfazione soltanto all'accusa. Oggi questi principi non vengono rispettati e il nome di suo fratello, attraverso il suo, viene usato per ridurre il confronto politico allo schema forzato mafia-antimafia. La verità è che lei non è l'antimafia e Cuffaro non è la mafia. La verità è che la sua candidatura è stata un'abile invenzione, suggestiva ed evocativa, di Leoluca Orlando che io comprendo e posso anche apprezzare. Ma non sarebbe stata senza l'ombra sacra, che non può parlare, di suo fratello, come sanno tutti, soprattutto i sostenitori della sua candidatura, e come pochi dicono. Certo, per rispetto a lei, al grande decoro della sua persona, e all'autenticità delle sue convinzioni. Ma questo non cambia il quadro, e non cambia il senso della sua candidatura. Quanto più preclare sono le sue virtù, tanto più appare contaminato chi vi si contrappone. Da una parte il rinnovamento, la Sicilia nuova, la moralità; dall'altra parte l'immobilismo, la Sicilia degli intrighi, l'immoralità. Peccato che non sia vero. E soprattutto che i suoi compagni di strada non siano tutti anime belle, come lei (lo comprova, fino all'ossessione, il caso Turi Lombardo). Queste le mie convinzioni che non sono farneticazioni. Come l'ammirazione per la scelta di Cuffaro di candidarsi, invece di stare al riparo delle immunità parlamentari.
La questione morale, ho detto, è non cedere alle minacce, alle pressioni della stampa, alle infamie, pensando di dover essere battuti, se mai, per errori politici e non attraverso scorciatoie giudiziarie, imperativi etici; o magari contrapponendo artificialmente e sgradevolmente le facce dei due candidati. La sua è certamente bella, nobile, malinconica; meno espressiva, bamboleggiante, quella di Cuffaro. Ma io oso pensare che, senza il martirio di suo fratello, lei non sarebbe stata chiamata. Farneticazioni o considerazioni logiche? Lei, come mio padre e mia madre, è farmacista, un lavoro paziente e misurato, in cui si conoscono le "dosi", e io ho "dosato" le mie parole. Molto raramente ho incontrato farmacisti di sinistra. E anche lei, sono certo, come suo fratello, non lo è. E posso credere che suo fratello non avrebbe votato un cartello in cui Rifondazione Comunista inibisce di candidarsi a un innocente, ingiustamente perseguitato. La sua candidatura, anche per questo, non evoca la questione morale, ma il suo simulacro, una rappresentazione letteraria, il teatro della questione morale con il coro, pressoché unanime nel plauso, della stampa di regime. Lo schema è efficace, per schiacciare Cuffaro sul tipo d'autore del mafioso, e batterlo, non con una alternativa politica, ma con un espediente letterario e suggestivo. L'operazione è riuscita: lei interpreta perfettamente la parte con la sua faccia credibile e le sue indiscutibili virtù umane. Ma suo fratello non può parlare, non può prendere posizione. Eppure il suo nome, attraverso di lei, è messo in gioco. L'avrebbe gradito Paolo Borsellino? Ed è farneticante pensare (e dire) che lei, senza quel nome, non sarebbe stata scelta per drammatizzare uno scontro politico, oltre la politica, attraverso la persuasione e l'emotività che il martirio determina? È un'identità propria, sul piano etico, oltre che naturale, essere la sorella di un eroe? Ed è giusto agire politicamente, ovvero illustrarsi, in memoria di lui? Che molti pensino di no, lo so, ma pochi lo dicono. Non dovessero mai essere accusati di farneticare! E così, con questa lettera di spiegazioni, lei ha finalmente il mio pensiero autentico senza deformazioni e deviazioni giornalistiche. Cuffaro si può sconfiggere con una offerta politica diversa, convincente, e liberatoria, proponendo un nuovo e migliore progetto. Non semplicemente contrapponendo una indeterminata e accattivante immagine di moralità. Non basta. È forse addirittura ingannevole. Provi a chiederlo al figlio adottivo di Tomasi di Lampedusa, Gioacchino Lanza Tomasi, che ha sempre considerato con grande lucidità e severità le seducenti architetture di Leoluca Orlando.

Lei è riuscita particolarmente bene, ma forse la sua identità è una illusione ottica più che un progetto politico. O non mi era consentito dirlo, senza mancare di rispetto alla sua persona, che mi resta gradita e cara? Con lucida ammirazione».

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