Letteratura italiana tra santi e poeti

Siamo la terra di grandi esploratori eppure le onde non hanno affascinato i nostri scrittori. Nel nostro Paese l'oceano sembra evocare soltanto vacanze e spiagge

Gli italiani di oggi non amano raccontare storie di navi e avventure oceaniche, non hanno una tradizione di romanzo marinaresco, sembra che oramai questa santa e immensa parola, «mare», non evochi alla loro mente che spiagge e vacanze. Peccato. Su quattro tra i massimi uomini di mare di tutti i tempi evocati da Melville in una pagina del suo Billy Budd (Editore Feltrinelli, pagg.148, euro 7,00, tradotto con dura forza arcaizzante da un poeta come Alessandro Ceni), uno è italiano. Insieme a don Giovanni d’Austria, che sconfisse i Turchi nella battaglia epocale di Lepanto, a Maarten Van Tromp, eroico capitano olandese che una canzone del suo tempo ricorda come «coraggioso protettore/ della navigazione e del libero mare/ servitore di una libera terra», a Jean Bart, proverbiale corsaro francese a caccia di naviglio olandese e inglese, c’è il nostro Andrea Doria, ligure, che preferì ricostituire Genova in libera repubblica che diventarne Duca. Il mare alleva eroi della libertà.

Qualcosa di imponderabile fa sì che il mare sia nemico dei tiranni, che le democrazie, da quella di Atene a quelle anglosassoni, fioriscano in riva alle onde e grazie alla potenza di una flotta; e che nella nostra stessa esperienza individuale l’amore del mare, come vide Baudelaire in un verso memorabile, si accompagni immancabilmente all’amore della libertà. Vicino ad Andrea Doria, l’Italia espresse una quantità impressionante di navigatori, da Cristoforo Colombo ad Amerigo Vespucci, dai fratelli Caboto a Giovanni da Verrazzano, tutti nomi destinati ad entrare nelle carte geografiche, in quelle topografiche, nel gergo marinaresco. Eppure nessun scrittore italiano ha creato eroi del mare in opere letterarie lontanamente paragonabili a quelle di Herman Melville, o di Robert Stevenson, o di Joseph Conrad. Quella americana e inglese è una tradizione formidabile. Si può anche in questo caso far iniziare da Edgar Allan Poe, con cui forse la modernità non ha ancora pagato tutto il suo debito. Poe è l’autore di un solo romanzo che si svolge interamente su una nave in viaggio nell’Oceano, e che contiene un altro elemento tipico di queste narrazioni: l’elemento visionario e fantastico, essendo il mare un infinito contenitore di simboli e i marinai esemplari creatori di superstizioni, leggende e demoni. Se si prendono opere come Gordon Pym di Poe, Moby Dick di Melville, L’isola del tesoro di Stevenson, Lord Jim e Tifone di Conrad, Capitani coraggiosi di Kipling, si vede la ricchezza artistica e anche pedagogica (alcuni di questi romanzi sono considerati classici per ragazzi) di un genere romanzesco come quello cui Billy Budd appartiene.

È l’ultimo frutto dell’ingegno incompreso dai contemporanei di Herman Melville, che dopo la navigazione e la stesura di tanti capolavori è costretto a guadagnarsi umilmente la vita come impiegato della dogana. Ed è un romanzo breve e condensato come una tragedia, secco come un verbale e un libro di bordo, terribile nel suo mettere in scena senza apparente commozione una vicenda in cui si scontrano la legge e l’amore, la malvagità e la bontà, l’onore e la pietà, sullo sfondo di una nave che solca le onde, microcosmo in cui un universo intero si rispecchia. Altre opere di Melville sono più affabili, come quel Taipi che contiene un resoconto freschissimo sui costumi degli indigeni delle isole Marchesi, altre hanno una misura epica, etica e fantastica più complessa, più ricca di simbologie, come Moby Dick, romanzo che oggi è riconosciuto come una delle più straordinarie opere della letteratura di ogni tempo, e che ha attratto a sua volta traduttori eccellenti tra scrittori che, pur non avendo tematiche marine, hanno una visione mitica della pagina, come il piemontese Cesare Pavese in Italia e il provenzale Jean Giono in Francia. Billy Budd, il marinaio «coartato» a passare dalla nave mercantile Diritti dell’Uomo alla Bellipotent, un vascello militare da 74 cannoni, è un giovane tutto gaiezza, bellezza, libertà, uno dal volto di adolescente, liscio e femmineo, dalla carnagione insieme rosea e abbronzata, di cui non si conosce né il luogo di nascita né il nome del padre e della madre. Eppure il suo tratto sta a dire una origine non plebea, e la sua incapacità di dare una piega ironica allo sguardo proclama la sua ingenuità naturale. È la figura, tipica negli equipaggi dei velieri, dell’Avvenente Marinaio, che mette miracolosamente armonia nella ciurma «come un prete cattolico in una gazzarra irlandese», ma che suscita anche invidia, concupiscenze inconfessabili, rancori senza ragione. Su una nave da guerra dove serpeggia il ricordo dell’Ammutinamento di Nore, che mise in difficoltà la marina inglese impegnata nella sua lotta mortale con quella napoleonica, il maestro d’armi Claggart, pallido, mosso da un insieme micidiale di invidia e disprezzo, ha buon gioco a denunciare il povero Billy al Capitano Vere, grande comandante ma anche grande lettore, riflessivo, prudente. Insieme al vecchio marinaio danese, agli ufficiali del quadrato e alla ciurma che fa da coro, sono questi i tre personaggi in cui la vicenda, nella sua terribile elementarità, si sviluppa con esiti tragici. Billy è accusato una prima volta di ammutinamento da Claggart, e viene accusato subito dopo di omicidio, poiché lui che ha come unico difetto fisico una lieve balbuzie non ha trovato altro modo di zittire il suo accusatore che colpendolo con un pugno fatale. Il capitano Vere sa che Billy è stato accusato ingiustamente. Sa che Claggart, apparentemente vittima, è colpevole e che Billy, apparentemente colpevole, è la vera vittima innocente, sacrificale. Come tutti i romanzi di mare, questo di Melville ci mette di fronte ai più grandi interrogativi della nostra esistenza. Come tutti gli eroi del mare, Billy Budd è un simbolo di lealtà e innocenza.

Quell’innocenza coraggiosa, entusiastica, che sfida ogni difficoltà, e che permette all’uomo di vivere la più grandi avventure, di affrontare le più dure prove e mostrare nei momenti supremi una forza d’animo pari a quella del vento e delle onde.

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