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Il buon sindaco liberale non ostacola il lavoro con leggi e regolamenti

Il libro parte da un presupposto liberale semplice: la politica deve fare poche cose, farle bene, e soprattutto non deve ostacolare chi crea lavoro

Il buon sindaco liberale non ostacola il lavoro con leggi e regolamenti
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C'è un piccolo libro, elegante nella forma e molto diretto nella sostanza, che prova a spiegare una cosa semplice: come dovrebbe essere un sindaco in un Paese dove spesso la politica locale è più complicata del Consiglio dei ministri. Nicolò Costa, con Il sindaco liberale (per la gloriosa Armando editore) ci porta dentro un'idea che a molti sembrerà quasi rivoluzionaria: un amministratore che non passa la giornata a dire «vietato», ma si sforza di dire «fatelo, e vi aiuto pure». La chiave di lettura è nelle prime righe: vi è una distinzione «tra forza di legami laschi e debolezza dei legami forti». È la pratica dei legami laschi quella che contraddistingue un amministratore liberale: è uno stile di vita, è un approccio filosofico.

Già qui, capite, siamo in controtendenza rispetto alla liturgia italiana delle autorizzazioni, dei protocolli, delle carte che si spostano da un ufficio all'altro come se fossero reliquie di Stato. Costa dice: un sindaco serio ascolta, osserva, valuta. E soprattutto capisce che la società

imprenditoriale non è un nemico da tenere al guinzaglio, ma il motore essenziale della città. Una cosa banalissima in teoria, rarissima nella pratica.

Il libro parte da un presupposto liberale semplice: la politica deve fare poche cose, farle bene, e soprattutto non deve ostacolare chi crea lavoro. Costa propone una figura di sindaco che assomiglia più a un manager illuminato che a un notabile di provincia: uno che prende decisioni, che non ha paura della trasparenza, che comunica in modo chiaro e non si ripara dietro il burocratese. E che, soprattutto, considera i cittadini non come sudditi da catechizzare, ma come interlocutori da ascoltare.

Il libro non è un trattato accademico, e meno male. L'autore insiste molto sull'ascolto quello vero, non la messinscena delle consultazioni pubbliche. È interessante come Costa, tra gli altri, identifichi come nemico dell'attivista liberale «colui che si impegna in politica per avere la rivincita nella vita», così come il «vittimista». Insiste sulla rapidità

delle decisioni, sulla certezza delle regole, sulla trasparenza dei processi. Tutti ridotti al minimo. È un testo che farà storcere il naso a chi ama un'idea dirigista di politica locale, quella dove il Comune è il grande regista di tutto, dai dehors dei bar alle mattonelle dei marciapiedi.

La verità è che Il sindaco liberale colpisce perché mette il dito nella piaga: l'Italia non cresce perché la politica locale spesso vive in un mondo suo, dove chi produce è un fastidio e non una risorsa. Costa invita a cambiare mentalità.

E lo fa con una scrittura pulita, pratica. Se vogliamo Comuni più moderni, servono sindaci meno ideologici e più liberali. Non nel senso partitico del termine, ma in quello etimologico: amministratori che liberano energie invece di incatenarle.

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