Così Bernanos maledì il culto di oro e tecnica

Torna il saggio «da combattimento» del grande scrittore francese. Un attacco al materialismo

Così Bernanos maledì il culto di oro e tecnica

La Grande Peur des Bien-Pensants, di Georges Bernanos, uscì in Francia nel 1931. Avrebbe dovuto intitolarsi Démission de la France, ovvero il suo venir meno come nazione, ma Grasset, che ne era l’editore trovò il titolo troppo generico nella sua assertività e, dopo qualche esitazione, Trahison des Notables, Avénement de l’Argent, Avénement des Banques, l’autore lo abbondonò al suo destino, recuperandolo però come titolo onnicomprensivo di quelli che più tardi definirà livres de combat, libri di combattimento, lì dove il romanziere si faceva polemista nei confronti di un Paese di cui lamentava sia il tradimento, il venir meno agli ideali e alla sua storia, sia la svendita: al denaro, alla democrazia di massa, alla modernità della tecnica, un termitaio inumano e secolarizzato come risultato finale e questa volta non più soltanto nazionale, ma mondiale. Da noi il libro venne tradotto solo un trentennio più tardi, nel 1965, per l’esattezza, dalle edizioni dell’Albero e ha fatto bene Oaks a riproporlo ora al lettore italiano (La grande paura dei benpensanti, traduzione di Bruno Bonino, introduzione di Paolo Gulisano, 376 pagine, 25 euro). Fra i testi di Bernanos resta infatti il meno conosciuto e tuttavia indispensabile per la comprensione del suo pensiero e vale la pena chiedersi il perché di questo controsenso, un controsenso tutto italiano, perché in Francia esso è periodicamente ristampato e figura persino nella Pléiade, la collana di classici edita da Gallimard. Una prima risposta, fondata, pur se superficiale, è che La grande paura dei benpensanti necessita di una conoscenza non banale della storia di Francia per come andò sviluppandosi nel mezzo secolo successivo alla guerra franco-prussiana e alla caduta di Napoleone III nel 1870. È un arco di tempo importante, quanto agitato e denso di avvenimenti in cui la Francia repubblicana fa il suo apprendistato fra nostalgie monarchiche ancora ben vive, tentazioni di colpi di Stato, crisi ministeriali, scandali, finanziari e non solo, a ripetizione. È la Francia dove un presidente della Repubblica, Sadi Carnot viene assassinato dall’anarchico Caserio, un altro, Felix Faure, muore d’infarto fra le cosce, per non dire di più, di una ballerina, il crack della Compagnia del Canale di Panama provoca il panico in Borsa e nelle tasche di tantissimi francesi, ci sono le prime Esposizioni universali... È altresì la Francia in cui il battesimo repubblicano affonda nel sangue della Comune di Parigi del 1871 che vede la borghesia media e grande, di destra co me di sinistra, e l’aristocrazia, «i benpensanti» del titolo, appoggiare la repressione e scavare vieppiù il fossato che li separa dalla piccola borghesia, dalla classe operaia e dal proletariato, ovvero dalla maggioranza del popolo francese, ma e allo stesso tempo dare l’avvio a una nuova politica di espansione militar-coloniale per medicare la vergogna della pesante débacle di Sedan a opera dei prussiani, un revanscismo che culminerà nella guerra 1914-1918 e nella resa, questa volta della Germania... E ancora, è la Francia del caso Dreyfus, banco di prova dell’anti-semitismo francese.

Si situa qui una seconda risposta, più fondata, anche se sempre superficiale. Bernanos racconta quel cinquantennio con profondità, ma si serve della figura di Edouard Drumont come filo conduttore, quel Drumont scrittore e giornalista di talento, direttore di La Libre Parole, nonché autore di La France Juive, testo classico dell’antisemitismo.

Bernanos lo ammira non solo come uomo, onesto, coraggioso, morigerato, buon patriota, e come scrittore, ma ne condivide le tesi, ovvero la «dittatura del Denaro», lo strapotere dell’economia grazie alla «conquista» della società francese da parte degli ebrei...

Siamo così arrivati al nocciolo della questione. Nel secondo dopoguerra, Bernanos è conosciuto in Italia per i suoi romanzi intrisi di misticismo cattolico, Diario di un curato di campagna, Sotto il sole di Satana, per quel suo I grandi cimiteri sotto la luna, veemente atto di accusa contro il franchismo nella guerra civile spagnola, nonché per essere stato al fianco di de Gaulle e contro la Francia collaborazionista di Vichy. Come conciliare il suo anti-nazismo con l’antisemitismo di Drumont e della sua Grande paura dei benpensanti? Il modo più semplice e disinvolto è dimenticarsene, ovvero far finta che non sia mai esistito.

In realtà, Bernanos non deve fare ammenda di niente, come già nel 1938 aveva ben messo in chiaro: «Nessuno di quelli che mi hanno fatto l’onore di leggermi, può credermi associato alla orribile propaganda antisemita che oggi si scatena sulla stampa detta nazionale, su ordine dello straniero. Se al signor Hitler in questo momento fa piacere disonorare la causa che il mio vecchio maestro ha servito, che importa? Il nazionalismo non degrada l’amor di patria, il militarismo la tradizione militare, il generale Franco e le loro Eccellenze il nome di Crociata?... Chiunque abbia letto I grandi cimiteri sotto la luna sa cosa pensi dei politici e degli assassini».
La dittatura dell’economia è il tema centrale della Grande paura dei benpensanti, perché significa la negazione di ogni idea sovra-naturale e di ogni possibilità di vera giustizia, il trionfo del forte sul debole, tanto più se associata alla potenza dominante della Tecnica che asservisce l’uomo invece di liberarlo. Privato di ogni corpo intermedio, trasformato in merce, è il totalitarismo quello che lo attende. «La società moderna non ha come scopo il mantenimento o la conservazione di beni ritenuti superiori all’individuo, così indispensabili alla specie, ma il semplice godimento del presente, per affrettare l’avvento del futuro, poiché l’avvenire prevale sempre sul passato, e la perfezione sta al termine delle cose..

. In realtà, la società moderna non ha alcun piano, nessuno scopo determinato all’infuori di quello di durare il più a lungo possibile grazie al metodo di cui si è servita sino a oggi, quello di un disgustoso empirismo».

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