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"Così vado a caccia di mondi perduti"

Il palebiologo viaggia nel passato, quando l'Antartide era verde e il Mediterraneo evaporato

"Così vado a caccia di mondi perduti"

I mondi di ieri ci raccontano quello di oggi. Di più: ci lasciano immaginare il futuro. Nel suo saggio (La nave di Teseo, pagg. 446, euro 24) Thomas Halliday, giovane e già molto premiato paleobiologo scozzese, ci porta in giro fra deserti, rocce, paludi e oceani, creature bizzarre e strati di ghiaccio. E, soprattutto, ci fa viaggiare a ritroso nel tempo, fino «alle origini della Terra», sfogliandone la storia epoca dopo epoca, ricostruendo un ambiente dopo l'altro, per scoprire il nostro passato e, anche, il nostro destino.

Thomas Halliday, che cos'è la paleobiologia?

«È lo studio della vita estinta. Riguarda tutto ciò di cui si occupa oggi un biologo, dall'anatomia all'ecologia, alla fisiologia e, se possibile, alla genetica. L'unica differenza è che la vita che studiamo non è più con noi».

Come ha ricostruito i «mondi di ieri», arrivando fino a 550 milioni di anni fa?

«Alcuni siti sono sorprendentemente dettagliati. Pensiamo a Rhynie Chert, dove sorgenti calde, ricche di minerali di silicio, hanno invaso alcune delle prime comunità sulla terraferma, cristallizzandosi intorno e all'interno degli esseri viventi. Sono istantanee tridimensionali di un intero ecosistema completo, con moltissime interazioni: piccoli parenti dei ragni che si nascondono nei germogli di piante morte, funghi che vivono da parassiti su altre piante, uova di gamberetti da poco deposte...».

Gli altri mondi esistiti, dice, sono «meravigliosi e familiari»: in che cosa?

«La vita sulle terre che sono esistite è molto diversa fra le varie epoche, con organismi incredibili, così differenti da quelli odierni. In questo c'è della meraviglia. E, insieme, come un filo rosso, gli stessi principi ecologici che governavano quei mondi governano quello di oggi: è una melodia familiare, suonata da uno strumento inusuale».

Fra gli «altri mondi», quali sono i più incredibili?

«Per me, i più incredibili sono i siti assolutamente unici. Nel libro descrivo l'epoca, solo qualche milione di anni fa, in cui il Mediterraneo perse il collegamento con l'Atlantico ed evaporò quasi completamente, diventando una vasca salata profonda chilometri. È un paesaggio che non somiglia a nessun altro conosciuto... E poi si riempì di nuovo, nel corso di un solo anno, con un deflusso sopra lo Stretto di Gibilterra e una cascata d'acqua più alta di qualsiasi altra oggi esistente, che si è riversata sulla Sicilia, vicino a Siracusa. O la baia di Soom, in Sudafrica, dove tutte le regole usuali della conservazione sono capovolte e, per una combinazione chimica, le parti molli sono preservate, e quelle dure no. Un trionfo».

In questo viaggio incontriamo molte creature: quali sono le più sorprendenti?

«Dipende da ciò che uno già conosce. È sorprendente scoprire che, 40 milioni di anni fa, c'erano pinguini alti come persone? Forse sì, ma lo è di più pensare alle foreste pluviali temperate che ricoprivano l'Antartide all'epoca: un mondo più caldo e umido di oggi dove c'erano comunque tre mesi di totale oscurità polare l'anno. È difficile immaginarlo. O le scimmie in Sudamerica».

Perché?

«Per come ci sono arrivate, a bordo di zattere naturali fatte di vegetazione che venivano spazzate attraverso l'Atlantico, allora più angusto, dai fiumi africani».

Ma la creatura più bizzarra qual è?

«Il Mostro di Tully. È così diverso da qualsiasi altra cosa mai scoperta, che gli scienziati non riescono nemmeno a mettersi d'accordo se sia un artropode, un verme, o un pesce. Ha la forma di una specie di siluro, con una sbarra che lo attraversa da lato a lato, e una struttura a forma di tubo a una estremità. E ce ne sono centinaia di specie...»

Qual è l'ambiente passato più affascinante?

«Oltre alle foreste pluviali polari temperate, di cui ho già detto, sarebbe straordinario comprendere appieno i primi ecosistemi sulla terraferma. Sono momenti - come quelli successivi a una estinzione di massa - di opportunità evolutive, ed è infinitamente affascinante vedere che cosa la vita tiri fuori».

E l'ambiente più spaventoso?

«Il possibile mondo del futuro, in cui il capitalismo estrattivo continua ininterrotto, le compagnie petrolifere smerciano disinformazione e le persone, sbagliando, si considerano separate dal mondo in cui vivono».

Che cosa si può dire dell'ambiente in cui è nata la vita?

«L'idea più avvalorata sulle origini della vita si incentra sui condotti vulcanici idrotermali alcalini. Per me è probabile che la vita sia emersa nelle profondità dell'oceano, lontano dal sole da cui dipende oggi la maggior parte della vita stessa».

E com'era invece il Kenya, la terra dove abbiamo origine noi umani?

«La Terra di due milioni di anni fa era simile a quella di oggi in molti modi. Si evolveva lentamente da un clima caldo a uno più temperato e nel rift dell'Africa orientale c'era un mosaico di paesaggi, fatto di foreste e spazi aperti, colline e laghi. Si ritiene che la complessità dell'ambiente abbia aiutato la nostra specie ad adattarsi e a farci diventare risolutori di problemi molto versatili, che è probabilmente il nostro tratto più importante come specie».

Racconta una storia di cambiamenti: estinzioni e rinascite. I più drammatici?

«I cambiamenti maggiori nella storia della vita avvengono come risultato di estinzioni di massa. Sono resettamenti della vita: ciò che era scompare, e qualcosa d'altro emerge al suo posto. Il più recente è stato l'impatto del meteorite a Chicxulub, ma ci sono state estinzioni di massa causate da eruzioni vulcaniche o dall'emersione di lastre di ghiaccio. L'unica cosa che hanno in comune è che comportano improvvisamente un cambiamento rapido nel clima globale, temporaneo o permanente».

Dal suo libro si scopre che molte cose che diamo per scontate, come il Mar Mediterraneo, o l'erba, non lo sono affatto.

«Nulla lo è. Ciò che esiste è una conseguenza del passato, e non esisterà più fra cento milioni di anni o, almeno, non nella stessa forma. Duecento milioni di anni fa nel luogo in cui sono cresciuto non c'era nulla, dato che era ricoperto da chilometri di ghiaccio. La vita può essere tenace, ma le modalità della vita sono fragili: il tempo non si mostrerà più clemente con ciò che c'è ora. Gli ecosistemi si sono estinti in passato e non c'è ragione di considerare la nostra epoca speciale, solo perché siamo qui a osservarla».

I fossili e il passato possono aiutarci a prevedere il futuro?

«In realtà, essi sono l'unico modo per prevedere il futuro... Possiamo basarci solo su ciò che osserviamo nel passato, e sui modelli computazionali in parte derivati da esso, per comprendere come la Terra risponda ai cambiamenti più grossi in termini di composizione atmosferica o frammentazione degli ecosistemi.

Sappiamo che questi effetti possono essere rapidi e intensi, e che possono portare alla perdita di interi mondi. E il passato ci ricorda che nessun mondo è per sempre. Ogni terra che sia mai esistita ha in comune con le altre il fatto di essere perduta, e non dovremmo gettare via la nostra».

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