Ultim'ora
Morto l'attore Mauro Di Francesco
Ultim'ora
Morto l'attore Mauro Di Francesco

Dio del Niente dacci oggi il nostro Cioran quotidiano

Esce una raccolta di testi ritenuti "minori": in realtà anche qui il pensatore romeno dà il meglio del suo nichilismo

 Dio del Niente dacci oggi il nostro Cioran quotidiano

Di Emil Cioran (1911-95) non si butta via nulla. Cioran è il vitello d'oro dell'editoria odierna, un tempio diventato macello. Qualsiasi cosa abbia scritto comprese le cartoline, i taccuini mutilati è degno di stampa. Merito di una scrittura lapidaria, veneficamente benefica, perfetta per chi confida nel genio della crudeltà. Le frasi di Cioran indipendentemente da ciò che significano sono sempre «ad effetto», mai affettate, perfette per il proprio personale diario notturno, per la citazione sui social e per galvanizzare una cena; ottime da tatuare in pieno corpo. L'autore intransigente è diventato un'esigenza civica: Dio del Niente dacci oggi il nostro Cioran quotidiano, in pillole concettuali, in supposte verbali, in supposizioni postprandiali per il cattivo maestro in andropausa. A differenza di quelli di Nietzsche suo autentico padre-padrone, insieme a Pascal gli apoftegmi di Cioran sono, infine, tenui: Cioran maneggia l'ascia del boia vestito da damigella di corte; oppure, al contrario, volteggia a corte travestito da boia. Cioran non vuole incidere nella storia del pensiero occidentale: preferisce far sfoggio di sé, dare spettacolo, essere rivoltante per il gusto, senza cedere alle mode del tempo. In questo, è un autentico trickster, il sommo impostore che spernacchia l'ordine gerarchico, che sputtana il potere e ruba il Graal per farne il proprio pitale. In questo, è autenticamente geniale. Basta non prenderlo sul serio: Cioran potrebbe parlare di qualsiasi cosa lo ha fatto: di Susana Soca come di Saint-John Perse, della Russia e della Francia, di Teresa d'Avila e Mircea Vulcnescu («il suo sapere prodigioso si sposava a una purezza come non ne ho mai incontrata di simile», scrive, nel gennaio 1968) perché qualsiasi cosa, tra le sue mani, splende come l'oggetto più raro, il primo-e-unico, il mai prima d'ora, il primevo, adorabile adoratore del Caos.

Nel groviglio dell'opera di Cioran, Esercizi negativi (Adelphi, pagg. 266, euro 16; a cura di Ingrid Astier) raduna le frattaglie,

gli scritti marginali abbozzati sul greto di Sommario di decomposizione, libro-zenit uscito nel 1949, il primo in lingua francese. I fogli custoditi presso il Fondo Cioran alla Bibliothèque littéraire Jacques Doucet, Parigi sono noti ai cioraniani: Gallimard ha pubblicato Exercices négatifs vent'anni fa. Chissà che effetto farebbe a Cioran vedere quegli scarti questo scaltro addestramento nella palestra del linguaggio minutamente annotati, chiosati, con tanto di «Varianti definitive», stesure più o meno rifinite, pre- e postfazioni, e la bordata di 339 note... Cioran, il micidiale antiaccademico ridotto a cadavere anatomizzato dagli studiosi, su cui compiere esperimenti di mesmerismo intellettuale.

Detto questo, il libro, in sé, è ovviamente straordinario. Risuonano tutti i temi di Cioran; il ritmo imposto ai paragrafi ha qualcosa di selvatico, da domatore di iene. Le frasi, come sempre, sono risolute, marziali, con adatta quota d'abisso. Esempi sparsi. «Cos'è ciò che chiamiamo società, partito, ordine, religione se non un brulichio elevato a sistema in nome di una vaga e pericolosa divinità?»; «Ogni convinzione incrollabile deriva da un disturbo della mente. Così un uomo che abbia delle convinzioni è sempre un maniaco»; «In fondo, si vive solamente perché non vi è alcun motivo per vivere. La morte è troppo esatta, ha tutte le ragioni dalla sua»; «Date uno scopo preciso alla vita ed essa perderà all'istante il suo terribile fascino». Concetti superficiali che sembrano supremi, pronunciati con barbarica assolutezza. Cioran, in fondo, accontenta tutti; siamo sempre d'accordo con lui perché ha il guizzo della battuta brillante, che spiazza senza mai ferire. «Solo Dio e il verme hanno una posizione chiara: Uno crea e l'altro rosicchia la Creazione». Che frase meravigliosa mi pare di averla già letta, in forma lirica, leggendo Dylan Thomas. Ecco, i brandelli di Cioran che, non a caso, eccelle nella forma breve danno l'idea di qualcosa di già letto&orecchiato altrove: in lui, però, anche l'ovvietà diventa oro, si veste a festa (o a lutto, è uguale), con l'abito impeccabile. È il talento del ladro, di un pensiero come razzia. Leggere Cioran è pericoloso:

ci fa credere di essere più intelligenti, di avere l'uomo e il cosmo in pugno purtroppo, restiamo la raganella verbosa che siamo. Tra le frasi-menhir che ho sottolineato, preferisco questa: «Il mistico che ha rinunciato alla parola ha rinunciato a tutto: non è più creatura, è la fine di una razza. Svanita l'articolazione, è l'uomo totalmente solo».

Piuttosto, la lettura di Esercizi negativi impone un avvertimento. Avvertiamo, cioè, che il Cioran francese ha sacrificato qualcosa di sé, del suo sé rumeno. Per diventare Cioran, Cioran ha dovuto tradirsi: il parigino Emil, esteta esperto in idoli e catacombe, ha ucciso Mihai, il rumeno selvaggio, il pensatore transilvano. Si percepisce per morsi, per singolari fratture una contrazione, una contraddizione: l'acrobata che ha scelto di farsi cecchino così, la burla, la cupa vigliaccata, quello stare tra terror panico e pavone, virato in grigio, in un linguaggio a denti stretti, si è fatto tragedia da comodino. In attesa di perfezionare il ragionamento, un consiglio. Affiancate a Cioran altri pensatori pericolosi, che hanno messo in scacco le sorti progressive della filosofia occidentale. Lev estov, Benjamin Fondane che di Cioran è stato intimo e Malcolm de Chazal, l'aforista visionario che Wystan H. Auden riteneva pari se non superiore a Cioran. Nessuno di questi fa breccia nel mercato editoriale italiano: meno facili di Cioran, restano autori autarchici, esoterici, per pochissimi mettono in crisi il sistema delle nostre convinzioni, dei nostri convenzionali convenevoli.

In un brano di particolare bellezza, L'impossibile rinuncia, Cioran scocca un motto dei suoi, da tenere sulla lingua come una pallottola di zucchero: «Ho voluto essere un saggio come non ve ne furono mai, e sono soltanto un folle tra i folli».

Magari fosse così, verrebbe da dire. «La follia è la matrice della sapienza», scriveva Giorgio Colli. Cioran non è riuscito a diventare folle è rimasto un saggio. Per questo, lo leggiamo con voluttuoso piacere senza trasporto.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica