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Fois, una saga dove ricchezza e famiglia si intrecciano

Una scrittura elegante e musicale, ambiziosa, forse a tratti appena sopra le righe

Fois, una saga dove ricchezza e famiglia si intrecciano
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Una saga familiare di imprenditori in cui qualcuno, a un certo punto, abbandonata temporaneamente la partita doppia, legge dei libri e scopre verità essenziali fa pensare subito ai Buddenbrock di Thomas Mann; e chissà che davvero Marcello Fois, con L'immensa distrazione (Einaudi, 282 pagg., 19,50 euro), non abbia voluto ammiccare al Mago di Lubecca. Solo che, stavolta, ad approfittare delle illuminazioni dispensate dai grandi spiriti non è l'ultimo gettone della stirpe, ma il primo, il fondatore della ditta. Cioè Ettore Manfredini, il cui nome ricorre ossessivamente nel corso di un volume che nonostante l'impianto da romanzo Strega tiene alcuni punti fermi: una scrittura elegante e musicale, ambiziosa, forse a tratti appena sopra le righe; non limitarsi a drammatizzare le grandi passioni (la rapacità, in primo luogo), ma indagarne il significato profondo; infine inserire la vicenda in un contesto storico riconoscibile.

Siamo nel modenese, il 21 febbraio del 2017. Ettore Manfredini, quasi centenario, giace a letto mentre la morte lo corteggia e forse lo ha già fatto fuori. Impossibilitato a muoversi, ricorda quando, bambino, fu condotto dalla madre Elda, stiratrice, in casa della ricca cugina del federale, l'unica in paese a poterne finanziarne gli studi. Andrà male: la donna, irritata dalla cocciutaggine con la quale il moccioso difende un'etimologia popolare, deciderà che è meglio che il piccolo Ettore si dedichi al lavoro dei campi. Il salto sociale arriverà più tardi, quando diventerà il primo gentile (nel senso di non ebreo) a lavorare nel mattatoio kosher in cui la locale comunità ebraica uccide le sue bestie, tutte rigorosamente ruminanti. Il modo in cui Ettore le scanna, in cui si incontrano efficienza, delicatezza e persino pietà, sarà replicato su vittime umane nel 1938, quando il regime fascista avvia la discriminazione degli ebrei. Allora sarà facile mettere le mani sulle loro ricchezze e trasformare il mattatoio nel regno del porco, animale impuro le cui connotazioni diaboliche erano già state ventilate inserendo, fra le letture di casa Manfredini, Il signore delle mosche di William Golding. Come a dire che L'immensa ambizione è anche una specie di noir, nel senso in cui tecnicamente un noir è un racconto in cui il protagonista non è l'eroe, ma il villain.

A questo riguardo, bisogna ammettere che quando a metà del volume Marcello Fois improvvisamente scopre le carte, e le dimensioni e gravità dell'appropriazione indebita diventano palesi, segna un colpo da maestro, da grande narratore. In ogni caso, quattro o cinque generazioni di Manfredini sono gestite abilmente, con il giusto tributo al romanzesco.

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